Blog › 2023

Na krásném modrém Dunaji ·

Ale ja
Chcem ďalej ísť
Až tam, kde spí
Dunajská delta

Živé kvetyNekonečnou ulicou.

Sono in partenza per un boat/rail/road trip in solitaria di due settimane lungo il corso del Danubio/Donau/Dunaj/Дунав/Dunărea.
Non ho un piano di viaggio definito nei dettagli. Prendo il via dal porto sul Donaukanal a Vienna, una tappa intermedia è alle Porte di Ferro, la meta è il Delta sul Mar Nero. Nel mezzo vorrei visitare Bratislava, Budapest, Belgrado, ma sono aperto a eventuali ispirazioni del momento, perciò prenoterò trasporti e pernottamenti con pochi giorni di anticipo. Con i punti Fragola aziendali ho acquistato un biglietto per il ritorno dall’aeroporto di Bucarest, ma se qualcosa andrà storto non mi farò problemi a saltare sul primo bus o treno verso la Cechia.
Con i punti Fragola aziendali ho anche acquistato un tablet su cui scriverò i miei appunti, l’idea è di pubblicarli ogni sera o quasi in homepage.

Con mille scuse a George, Harris, Jerome, per tacer di Montmorency.

Internet explorer #28 ·

The Guardian › And, cut! What it was like being circumcised in my 60s, by Stuart Jeffries.
Man, I feel your pain.

Leonardo › Ieri notte un selezionatore umano di canzoni artificiali mi ha salvato la vita, di Leonardo Tondelli.
Insomma il creativo del futuro me lo immagino molto meno operativo […] Suonerà sempre meno, di scolpire e dipingere ha già smesso. Quel che farà è guardare, ascoltare, filtrare. Il creativo del futuro sarà un critico […]

Manteblog › ChatGPT e Ligabue, di Massimo Mantellini.
Intendo: perché lo facciamo? Perché continuiamo a consumare una quantità tanto rilevante di arte, cultura, letteratura ed intrattenimento di una qualità abbastanza bassa da poter essere domani sostituita da un software? […] [P]erché non solo ci accontentiamo di tutta questa mediocrità ma anzi spesso la preferiamo con grande chiarezza e convinzione? Perché il talento, la cura, la poesia, l’innovazione e la bellezza sono una nicchia mentre noi siamo circondati da tonnellate di roba tutta uguale, assemblata con lo stampino da abili alchimisti del prossimo hit e con le iniziali del proprietario bene in vista? Un’industria culturale livellata verso il basso dalle richieste dei propri committenti. Talmente in basso, in termini di creatività e innovazione, da poter essere agevolmente sostituita da una macchina.

You want it darker ·

I have just added a dark mode to my Virtualia?. The scheme is triggered by the user’s system or browser preferences.
In light mode, the regular palette is: white background, black text, black headers, blue links, blue outlines. [A]lba pratalia […] negro semen, as they say in Verona.
In dark mode, the alternative palette is: navy blue background, white text, aqua blue headers, lime green links, lime green outlines. These are the colours that defined my vanity website in the early Noughties, MassiTwoSteps.net.

Of course I checked all contrasts, to ensure that I comply with the Web Content Accessibility Guidelines.

Internet explorer #27 ·

Figs in Winter › Figs in winter and the idea of an art of living, by Massimo Pigliucci.

CNN en Español › Los 23 mejores platillos de México para probar, por Serena Maria Daniels.

The Verge › Can Mastodon seize the moment from Twitter?, by Nilay Patel.

Justin Garrison › Mastodon Is Doomed.

Oblomov › Not by AI, by Giuseppe Bilotta.

Brain Baking › Is Your Website Training AI?, by Wouter Groeneveld.

Batisfera › 44.409561, 8.842962 Navebus, di Irene Rolfini.

Batisfera › 44.902358, 8.602335 Alessandria mon amour, di Kai Ortolani.

Vogue Italia › Elly Schlein […]: “Se non ti occupi della politica, la politica si occupa comunque di te”, di Federico Chiara.
Dobbiamo rendere comprensibile la complessità, smontando cioè quella costruzione di consenso tutta basata sulla paura e sulla divisione. Dobbiamo riuscire a contrapporre una speranza di emancipazione che è esattamente l’opposto, e che consiste nel dare a ciascuno una risposta proporzionata ai bisogni che esprime.

Il Post › La carbonara ce la invidiano tutti, di Alberto Grandi.

Eric Graydon & Magdalene Tautenhahn – The Danube - Artery of the New Europe, Part 1 (+ Part 2 & Part 3).

Da dove sto chiamando › Melonopoli, di Alessandro Capriccioli.

Fluviale ·

Placido fiume fra due rive alberate nella tenue luce del mattino.

Quel ponte sul fiume Svratka, Jundrov/Komín, 07:09.

Wavelets ·

Some recent changes to my Virtualia? as part of the #newwwyear initiative:

  • I moved the list of feeds I read from the Blog section, where it acted as an old-style blogroll, to the forefront, and I renamed it Web; now it is accessible from the top line of the navigation bar. I am slowly expanding it with non-feed links to web resources I like, because soon the enshittification of Google Search will make curated indexes relevant again.
    The actual data is written in OPML, an XML extension developed by Dave Winer of RSS fame, which is rendered in XHTML by means of an XSL template: the IndieWeb wiki shows a basic example of how it can be done, but I think I got to re-invent the wheel a few times. Now I just have to figure out recursion applied to nested outlines.
    The raw OPML file can also be imported in a feed reader for consumption (I use the horribly-named Firefox extension, Feedbro).
  • I compiled a sitemap that I submitted to Google and to Bing; but lately they seem more interested in toying with LLMs than in providing good search results…
  • I moved the links to my feed and to my stylesheet from the navbar to the footer, then I deleted them because the footer looked stuffed. In the end I drew a feed icon in pure CSS and I put it back in the navbar. I studied one Codepen before trying my hand at it.
    I like the outcome: one span boxes the icon and makes it responsive in size for small viewports; other spans draw the source point, and the wave with its troughs and crests. I may adjust the weight a bit. You can read the code by view-source.
  • The small favicons that appear at the bottom of each post and that link to the homepage now don’t retrieve the image for every instance.

Pulisci Milano ·

Lo so, direte che questa è la storia di una nevrosi, la cartella clinica di un’ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla. Direte che se finora non mi hanno mangiato le formiche, di che mi lagno, perché vado chiacchierando?
È vero, e di mio ci aggiungo che questa è a dire parecchio una storia mediana e mediocre, che tutto sommato io non me la passo peggio di tanti altri che gonfiano e stanno zitti. Eppure proprio perché mediocre a me sembra che valeva la pena di raccontarla. Proprio perché questa storia è intessuta di sentimenti e di fatti già inquadrati dagli studiosi, dagli storici sociologi economisti, entro un fenomeno individuato, preciso ed etichettato. Cioè il miracolo italiano.

Luciano Bianciardi – La vita agra, Mondadori De Agostini, Novara 1987.

Davvero non esiste il genere letterario del “romanzo fallito”? Quello in cui l’Autore vuole scrivere del Tema a lui caro, ma ne resta schiacciato, eppure il romanzo è pubblicato lo stesso? O è quello che s’intende per “postmoderno”? “Fallito” non deve necessariamente essere un giudizio di valore: per ogni inutile Lo stato del mare c’è un capolavoro sui generis come La vita agra di Luciano Bianciardi.

Il narratore, un letterato anarchico, si trasferisce dalla provincia alla metropoli con il proposito di vendicare la morte di quarantatré minatori. Insieme alla compagna comunista prova a entrare in contatto con la massa operaia, indistinta, quella che si riversa nella metropoli con i treni del mattino presto, battaglioni di gente grigia, con gli occhi gonfi, in marcia spalla a spalla verso il tram, che li scarica all’altro capo della città dove sono le fabbriche, senza successo. E senza quest’allenza, nel disinteresse burocratico del Partito, il proposito anarchico si spegne.
Compreso il fallimento, il narratore esperisce un personale riflusso nella quotidianità della metropoli, fatta di case popolari e lavori meschini e scocciatori molesti e tasse da pagare; e si chiude in casa con la compagna e la Olivetti, a scrivere e a scopare, a scopare e a scrivere, fino a perdere l’impiego. L’atto sessuale fine a se stesso, paritario fra uomo e donna, diventa programma massimo, eversore della moderna civiltà. [F]inirebbe la civiltà moderna: cesserebbe ogni incentivo alla produzione dei beni di consumo, essendo dono gratuito di natura l’unico bene riconosciuto e durevole; cesserebbe anche l’insorgere dei bisogni artificiali. È la via privata all’anarchismo: [c]hi faccia tale scelta, giacché egli mina alle basi il neocapitalismo e il socialismo insieme, si prepari a vedersi contro tutta quanta la società.
Trovato un altro impiego da freelance, il narratore osserva cupamente le larve che popolano i non-luoghi della metropoli: le strade deserte, la nebbia, i neonati supermercati. Ce l’ha in particolare con il branco delle segretariette secche, senza sedere, inteccherite da parer di sale, col visino astioso e stanco. [Q]ueste dattilografette […] sono la vera spina dorsale dell’import-export, del commercio, delle attività terziarie e quartarie. Secche di gambe, piatte di sedere, sfornite di petto, picchiettano dalla mattina alla sera, coi tacchi a spillo, sugli impiantiti lucidati a cera, e poi su un pezzetto di marciapiede, fino alla fermata del tram.

È difficile riconoscere una faccia, anche se fai tutti i giorni, per anni, la solita linea. Questo anche perché si somigliano tutti, i passeggeri del tram. Ci sono tre tipi fondamentali di faccia: la faccia del ragioniere in camicia bianca, con gli occhi stanchi di sonno già alle otto del mattino, talvolta i baffetti, sempre due solchi profondi che partono da sotto le occhiaie bluastre e arrivano agli angoli della bocca; poi c’è la faccia disfatta della casalinga, che va al mercato lontano perché si risparmia un po’ di dané, e nonostante l’ingombro della sporta piena è sempre la prima a salire; infine c’è la dattilografetta con le gambette secche, che ha una faccia smunta, stirata, alacre, color della terra, color del verme peloso che striscia sulle foglie dei platani.

È un romanzo fallito, La vita agra, ma funziona come trattato sociologico, ricco di citazioni citabili e futuribili, sull’Italia del boom economico e sulla decrescita, sull’editoria e sulla violenza politica, e su una Milano invivibile. Ci si trova anche un accenno a quelli che mezzo secolo dopo David Graeber avrebbe teorizzato come bullshit jobs (“lavori del cazzo”):

Nel nostro mestiere […] occorre staccarli bene da terra, i piedi, e ribatterli sull’impiantito sonoramente, bisogna muoversi, scarpinare, scattare e fare polvere, una nube di polvere possibilmente, e poi nascondercisi dentro.
Non è come fare il contadino o l’operaio. […]
[I]l contadino appartiene alle attività primarie, e l’operaio alle secondarie. L’uno produce dal nulla, l’altro trasforma una cosa in un’altra. Il metro di valutazione, per l’operaio e per il contadino, è facile, quantitativo: se la fabbrica sforna tanti pezzi all’ora, se il podere rende.
Nei nostri mestieri, è diverso, non ci sono metri di valutazione quantitativa. Come si misura la bravura di un prete, di un pubblicitario, di un PRM [1]? Costoro né producono dal nulla, né trasformano. Non sono né primari né secondari. Terziari sono e anzi oserei dire […] addirittura quartari. Non sono strumenti di produzione, e nemmeno cinghie di trasmissione. Sono lubrificante, al massimo, sono vaselina pura.

Mi sono fischiate le orecchie.

Luigi Silori – Dove la vita è agra (link alternativi: prima parte e seconda parte).

Leggevo ieri il reportage dal Vietnam in cui Claudio Giunta racconta dell’ingresso dello Stato asiatico, formalmente socialista, nel capitalismo. Giunta cita un articolo del 1962, medesimo anno della Vita agra, in cui Giorgio Bocca descrive il miracolo italiano nel distretto delle calzature di Vigevano, e non in termini lusinghieri. Non più di quattro o cinque aziende sono guidate da criteri industriali. Il resto si regge sul lavoro furibondo, sull’intuito commerciale, su un ottimismo indomabile. Una borghesia in formazione, dinamica, laboriosa e audace quanto zotica, eterogenea e, per certi aspetti, miope, conduce la confusa battaglia. Dalle parole di Bianciardi e Bocca non capisco dagli anni Sessanta a oggi quanto sia cambiato e quanto sia rimasto uguale. Ho il timore che a una civiltà immutata sia stata data una sottile patina di modernità.

Vincenzo Latronico @vlatronico: «In cinquant’anni, “vagabondi, ex carcerati, ladri e prostitute” sono diventati “emarginati, balordi e ribelli”. Cosa significa? Non è una domanda polemica, davvero me lo chiedo.» Sotto sono mostrate le copertine di due edizioni, una storica Einaudi e una recente Bompiani, di Autobiografie della leggera di Danilo Montaldi, con i diversi sottotitoli citati da Latronico.

Dal profilo Twitter di Vincenzo Latronico. Il libro di Danilo Montaldi è del 1961. “Leggera” vale “ligera”, o “lingera” in dialetto alessandrino.

  1. Public Relation Man ~ndMassi.

Per un pugno di knihy ·

Potrei come non potrei aver comprato su Knihobot.cz e Libraccio.it due pacchi di vecchie edizioni in inglese e in italiano di romanzi e racconti di Josef Škvorecký, e altre amenità assortite.

Raccogliendo materiale per una denuncia per la pagina su Wikipedia e per il post precedente, sono finito a leggere della pluridecennale faida fra le due fazioni della boemistica italiana sorte in università dopo la morte di Angelo Maria Ripellino. Ce n’è abbastanza per scrivere un libro: sugli effetti della politica della Normalizzazione, sulla rivalità accademica, con un intreccio di screzi personali.
Lascio qui sotto una lista di documenti che si possono trovare online, oltre il gossip, sul rapporto fra letteratura ceca e Italia.

Ústav pro českou literaturu AV ČR › Bohemistika v Itálii, od Aleny Wildové-Tosi (1995).

Academia › Stav bohemistiky na italských univerzitách po smrti profesora Ripellina: Divadlo a requiem, od Giuseppa Dierny (1996).

Academia › Perché traduciamo? (ovverosia: perché traduciamo se non comprendiamo […]), di Giuseppe Dierna (2008).

Europa Orientalis › Sulla letteratura ceca degli anni Cinquanta, ma non solo: precisazioni storico-letterarie […], di Giuseppe Dierna (2008).

Listy › Causa Ripellino a normalizace italské bohemistiky, od Olgy Hostovské (2009).

CzechLit › “How could I fail to remember two or three anecdotes…”, by Jan Lukavec (2011).

Firenze University Press › Primavera di Praga, risveglio europeo, a cura di Francesco Caccamo, Pavel Helan e Massimo Tria (2011).

Slovo a smysl › Rozhovor s Prof. Annalisou Cosentino, od Michala Ježka (2012).

Miccia corta › Così i servizi cechi ricattavano Ripellino, di Giuseppe Dierna (2013).

COREIl fejeton come simbolo dell’identità culturale del dissenso cecoslovacco, di Stefania Mella (2014).

Proudy › Jak Italští bohemi(sté) dezorientovali Orientaci, od Giuseppa Maiella (2016).

Moravská zemská knihovna › Premia Bohemica: Annalisa Cosentino (2020).

Moravská zemská knihovna › Premia Bohemica: Alessandro Catalano (2022).

Il partigiano Danny ·

Qualche giorno fa è morto Emil Boček, brunense di Tuřany, ultimo sopravvissuto degli oltre 2500 cecoslovacchi che si arruolarono nella RAF per combattere i nazisti. Aveva appena compiuto cent’anni. Per capire la commozione qui in Cechia, pensate a quando in Italia si spegnerà l’ultimo partigiano.


Sulla Wikipedia in italiano una pagina dedicata a Josef Škvorecký non c’era, ho deciso di scriverla io. [1] Ora sono il secondo esperto italiano (autoproclamato) di Škvorecký, dopo il boemista Giuseppe Dierna, perché anche Škvorecký in Italia non se l’è mai filato nessuno, nonostante siano stati tradotti cinque suoi volumi. Certamente Škvorecký è un autore minore della letteratura ceca, ma il suo essere anti-comunista non deve avergli giovato negli ambienti letterari marxisti nostrani.

Josef Škvorecký nacque in una cittadina della Boemia nord-orientale, presso quei Sudeti che il Terzo Reich annesse nel 1938, da una famiglia della piccola borghesia. Il giovane Škvorecký aveva tre passioni: la letteratura statunitense, il jazz, e le sottane delle fanciulle. La stessa bozza di biografia si potrebbe scrivere per il suo alter ego Daniel Smiřický, protagonista di sette fra romanzi e novelle, fra cui l’esordio di Škvorecký Zbabělci (it. I vigliacchi) che ho letto nella versione inglese.

È la prima decade di maggio del 1945: Adolf Hitler si è suicidato, Berlino è caduta, ma in Europa Centrale si combatte ancora; l’Armata Rossa si sta avvicinando a Praga, mentre gli Alleati come da accordi si sono fermati a Plzeň. Nella cittadina di Kostelec il ventenne Danny Smiřický, operaio forzato nella fabbrica di munizioni Messerschnitz, respira la prima aria di libertà.
Da Praga arrivano voci di un’insurrezione popolare contro i nazisti. A Danny e coetanei prudono le mani, hanno raccolto un piccolo arsenale e vogliono fare la rivoluzione, ma i maggiorenti di Kostelec hanno stretto un patto cogli occupanti tedeschi: niente violenze reciproche. Al patto non partecipano i comunisti, che hanno avviato una guerriglia partigiana.
Quando Danny e i suoi amici accettano di essere inquadrati nelle milizie ufficiali locali, con funzioni di mantenimento dell’ordine, capiscono di trovarsi in mezzo a interessi contrapposti: i soldati della Wehrmacht vogliono fuggire verso ovest per consegnarsi in armi agli anglosassoni; i boemi collaborazionisti sono nel panico, perché persa la protezione nazista perderanno tutto; i boemi comunisti sono in trepidante attesa delle truppe sovietiche, perché vogliono imporre il bolscevismo in Cecoslovacchia; i boemi liberali sono fra l’incudine e (la falce e) il martello.

Danny Smiřický non è schierato né con i comunisti né con i liberali. La sua coscienza politica viene in secondo piano rispetto al vero motore delle sue azioni, di cui è pienamente consapevole: il farsi bello con le ragazze. Cerca il gesto eroico, ma desidera che accada sotto gli occhi della fanciulla che ama che brama. I suoi pensieri sono permeati di uno spleen esistenzialista e falso-nichilista da prenderlo a schiaffi.
Per Danny e i suoi amici, la rivoluzione è poco piú di un gioco da giovani adulti. Il modello da seguire sono i film americani; l’addestramento e le gerarchie militari sono un’incomprensibile noia. Finché a Kostelec arrivano le SS in retroguardia, e il gioco si trasforma in realtà, e la realtà in tragedia (il pel di carota Hrob come il piccolo Nemecsek dei Ragazzi della via Pál).
Lo sguardo non-ideologico di Danny permette al lettore di vedere oltre la serie di eventi bellici: le relazioni fra le classi sociali della cittadina, la scomparsa della comunità ebraica, la condizione dei prigionieri, i crimini di guerra compiuti dai “cattivi” e dai “buoni”. Smiřický/Škvorecký evita di de-umanizzare i nazisti: in un lungo inciso racconta il tentativo del bello del gruppo di sedurre una giovane ausiliaria della Luftwaffe, e li pone sullo stesso piano naturale, quello di due adolescenti in fregola; ma lei è impregnata di retorica razzista, e il rapporto è impossibile.

In un altro inciso c’è una dichiarazione di poetica dell’autore, che si estende ad analisi sociologica dell’interazione fra i due sessi:

That was the way they usually talked. They never meant it seriously – just thought that kind of talk was very witty, and maybe it was. In reality, I mean. Books and novels always bubble with wit and sparkling repartee but in real life there’s nothing very witty. Usually all it amounts to is a kind of teasing, the way boys and girls tease each other when they’re together, though boys do it even among themselves. I don’t know whether girls talk that way among themselves, too, but boys do. Because if you can’t at least get each other all worked up by talking, then there really wouldn’t be anything to talk about if nothing special happens to be going on right then – like at a dance, for instance – or you don’t have anything really urgent to say. There wouldn’t be any point in talking all that junk you talk about at dances if it weren’t for the fun of teasing. Between boys and girls it’s as natural as the day is long. Talking is probably about the same for them as sniffing is for dogs – and that’s the honest truth, nothing dirty or exaggerated about it. I know it and I think everybody else does too, except not everybody admits it. I do. Boys say all sort of things and crack all sorts of corny jokes just so finally they can kiss their girls out in the hall. That’s true, at least as far as boys talking with girls is concerned. And it’s certainly true when boys talk among themselves in front of a girl. Maybe it isn’t always like that when they’re by themselves but then boys usually talk about girls when they’re by themselves, so even then it’s true, too. So that’s probably how it is with witty talk in general.

Traduzione di Jeanne Němcová, Penguin, London 2010.

E infine c’è la musica, e in particolare il jazz, insieme alle ragazze l’unica cosa al mondo cui pensare, e per cui vale la pena vivere:

Squares like [them], they didn’t understand it. According to them, we were no-good loafers and jazz was just something crazy and eccentric. Not for us it wasn’t. For us, it was life, and for me the only life. The only one possible and the best one.

Un film con Barbora Bobuľová, da un racconto pubblicato in Sedmiramenný svícen. Danny Smiřický suona il sax, Paddy Nakonec la tromba.

  1. Peggiori dei vandali, su Wikipedia ci sono soltanto gli amministratori di Wikipedia.

Internet explorer #26 ·

Pluralistic › The market for carbon credit lemons, by Cory Doctorow.

The Guardian › [M]ore than 90% of rainforest carbon offsets by biggest certifier are worthless, analysis shows, by Patrick Greenfield.

A man in cement shoes is about to be thrown to the water by two gangsters in front of two police officers. Gangster: «Relax, officer! What *looks* like a potential homicide has actually been *offset*, with the purchase of tradable life credits from our local surf life-saving club!» Officer #1: «They’ll finally be able to buy that new rescue boat!» Officer #2: «Looks like we’re on track for net-zero murders by 2050!» Victim (muffling): «How good is the market!»

– Si rilassi, agente! Quello che sembra un potenziale omicidio in realtà è stato compensato, con l’acquisto presso il locale circolo di salvamento surfisti di crediti-vita commerciabili!
– Finalmente potranno comprare quella nuova barca da soccorso!
– Sembra che siamo sulla buona strada per assassinii a bilancio zero entro il 2050!
* Quanto è buono il mercato!

© David Pope, via Mastodon.

Il Post › Una cosa difficilissima che stiamo imparando a fare.
Inefficienti tecnologie energivore per riparare i danni prodotti da inefficienti tecnologie energivore.

Fully Charged Show – Is Carbon Capture An Excuse To Burn More Fossil Fuels?!

The New Yorker › What If We Stopped Pretending?, by Jonathan Franzen.
Call me a pessimist or call me a humanist, but I don’t see human nature fundamentally changing anytime soon.

Appunti sul gastronazionalismo ·

L’articolo del Financial Times [1] a firma di Marianna Giusti [2] su certi miti della presunta tradizione culinaria italiana è oro.
Si tratta di un’intervista ad Alberto Grandi, storico dell’alimentazione all’Università di Parma (dove, sennò), autore di un libro e di un podcast dal titolo Denominazione di Origine Inventata in cui spiega le origini moderne e industriali di piatti-simbolo della cucina italiana. L’ho letta gustando una gulášová polévka rovesciata dal barattolo, cui in cottura avevo aggiunto dei těstoviny all’uovo prodotti a Vřesovice u Kyjova.

Alcuni titoli dei media italiani che hanno ripreso la notizia (niente link):

  • Financial Times attacca la cucina italiana: “Il parmigiano vero è del Wisconsin”.
  • Financial Times contro carbonara e parmigiano, Coldiretti: “Attacco surreale”.
  • L’assalto alla cucina italiana: “Questi piatti non sono vostri”. Ma la storia è un’altra.
  • “Il parmigiano? È del Wisconsin”. Le fake news autorazziste del prof. Grandi finiscono sul Financial Times [3].

Ignorando i virgolettati inventati da titolisti infami, annoto che dalla sinistra populista all’estrema destra la retorica condivisa è quella bellica: è in atto una guerra all’Italia e alle sue eccellenze, e i sabotatori sono fra noi.
Spettacolare l’editoriale del direttore della redazione gastronomica della Busiarda: ammette che il professor Grandi racconta storie precise, attente e ben documentate e soprattutto totalmente vere, poi aggiunge…

Il Financial Times lo prende come spunto per attaccare l’Italia in un momento di grande crescita internazionale, in un momento in cui il mondo dimostra ogni giorno di sceglierci come cucina più attrattiva del pianeta. Se poi aggiungiamo che attaccare l’italianità in questo momento storico può sembrare un modo per attaccare un governo che fa della sovranità alimentare un punto di forza allora gli inglesi stanno provando a mettere in atto la tempesta perfetta.

Un’offensiva (navale?) della perfida Albione, lanciata dalle poderose pagine dell’inserto domenicale food and drink.

Da questa parte delle Alpi, oltre il confine dell’Impero Romano, dove il mercato comune europeo mi permette di comprare il pane in cassetta confezionato da operaie romene a Valle San Bartolomeo (AL), in un periodo storico in cui dalla sinistra populista all’estrema destra furoreggia l’identitarismo, vedo l’identità degli Italiani ridursi a quel che mettono nel piatto.
(Forse ora mi spiego perché nel centro di Praga cosí tanti ristoranti siano italiani, con insegne e menú in italiano, sia mai che i turisti italiani finiscano a mangiare schnitzel, che schifo già dal nome, altro che schnitzel, vuoi mettere piuttosto una bella cotoletta alla milanese.)
Ma un’identità nazionale ridotta a quel che si mette nel piatto è un’identità debole, che capisco vada in crisi per l’apertura di una kebabberia, e capisco abbia crisi isteriche se si parla di farine di grillo. Se questo è il sovranismo declinato all’italiana, è una ben patetica filosofia politica.

Una ciotola di vermi fritti con fettine di peperoncino verde.

Tu non hai fame? Klub cestovatelů, Brno, 21 settembre 2016.

Collettiva › Perché i fascisti odiavano la pastasciutta, di Daniele Soffiati.

Accademia della Crusca › Il manifesto della cucina futurista, di Filippo Tommaso Marinetti.

Istituto della Enciclopedia Italiana › La dieta mediterranea: realtà, mito, invenzione, di Vito Teti.

Çankaya Üniversitesi › The Invention of Tradition, edited by Eric Hobsbawm and Terence Ranger (via it.Wikipedia).

  1. Link alternativo via proxy per quando Twitter smetterà di funzionare. Se siete abbonati al Financial Times, leggete l’originale.
  2. Non so chi sia, ma sul suo profilo Instagram cita Sensibile degli Offlaga Disco Pax.
  3. Questo sono andato a cercarmelo dove sapevo che l’avrei trovato: Miss Violetta Beauregarde ♥

Internet explorer #25 ·

Back-on-Track › Our Night Train Map, by Juri Maier.
Una mappa aggiornata di tutti i treni notturni in Europa.

The Guardian › I took the train to Brno, Czech Republic – here’s my guide to the city, by Emma John.

The Quietus › Peer Reviewed: Graham Coxon Interviews Rose Elinor Dougall… And Vice Versa.

The Register › Spotted in the wild: Chimera – a Linux that isn’t GNU/Linux, by Liam Proven.
La distro Linux made in Brno!

Radio Prague International › One year of helping Ukraine: The Czech story, by Thomas McEnchroe.
The country itself has taken in 480,000 Ukrainian refugees, one of the largest numbers in Europe.

Il Disinformatico › Perché c’è una fotocamera negli scanner dei supermercati?, di Paolo Attivissimo.

Derek Sivers › Want anonymity? Make a persona not a mystery.

Royal Military Police – Destination Berlin, 1989. Via Kottke, via Open Culture, via MetaFilter.

Archivi di Asphalto 2 › Le slovacche, dell’utente Pacciani.

Praga Capitale ·

– you will be there for 3 days?
– Yes.
– alone?
– Yes.
– why?
– Why not?
– because… I have no answer.

Leni non mi conosce bene, e non si capacita che io voglia passare un weekend lungo nella capitale in sola compagnia di me stesso.

Presso la Prašná brána con lo zaino sulle spalle, faccio la lingua al fotografo che tiene la macchina ruotata di 45°.

Foto artistica. Náměstí Republiky, 28 marzo 2001.

Torno a Praga dopo due anni. Questa volta il pretesto è il concerto di un gruppo rock australiano di cui Luca e Vojta pensano un gran bene.
Sul treno da Vienna siedo accanto alla pronipote di Josef Švejk e dietro a una famiglia asiatico-americana: il figlio con deficit di attenzione saltella al portatile fra video su YouTube, la scrittura di un saggio, e un software ludico per imparare la lingua di origine (il coreano, mi pare); la madre è al telefono con l’agente letterario mentre lavora alla quinta bozza del suo romanzo Kisses and Conspiracies.
L’albergo dove alloggio è a metà strada fra Václavské náměstí e Staroměstské náměstí, e ha un ingegnoso sistema per il check-in automatico.

Praga è una città dove non sopravvive niente di quaranta anni di Guerra Fredda.
Nessuna falce e martello, statua, monumento, ricorda ciò che era fino a quindici anni fa.
Una rimozione sfrontata.

~ Offlaga Disco PaxTatranky.

Come mio solito, vago senza mappa, seguendo l’istinto e rifuggendo i turisti.
È un sabato mattina di metà marzo ma in giro ce ne sono già troppi, per fortuna non sono uno di loro. Oh, wait…

Od Vinohrad k Žižkovu je tisíc rokov
Sveteľných, neodpustených

~ TolstoysTri mestá.

A poco a poco mi allontano dal centro: Vinohrady con i palazzi borghesi e le villette abbandonate, Vršovice piú popolare, Žižkov anarchica ma in lenta gentrificazione. Fouká chladný vítr e nevica lievemente: m’infilo nello sterminato cimitero di Olšany, dove marmo e granito scrivono un trattato architettonico sull’intersezione di classi sociali e nazionalismi.

Tomba di famiglia con statua di una giovinetta.

Boženka Řeháková, 27.X.1914 – 5.XII.1931. Autore purtroppo ignoto.
Davvero nessuno ha scritto un romanzo su questa ragazzina della první republika?

Tornando verso Nové Město si sentono proclami e fischi: è la manifestazione autorizzata della destra sociale putiniana “contro la povertà”, leggasi “contro il governo” e “contro l’Unione Europea” e “contro la NATO”. Una decina di migliaia di persone occupa la parte alta di piazza San Venceslao. Qualche decina di liberali tiene una contro-manifestazione sotto il Museo Nazionale, sventolando bandiere europee e ucraíne, protetta da un cordone di polizia che riesco facilmente a penetrare; giro i tacchi in fretta, perché se io riesco a penetrare un cordone di polizia c’è qualcosa che non va.

Gruppi di manifestanti con bandiere assortite (ceche, europee, ucraíne) stretti fra il museo e la strada.

E quello striscione “společně jsme silnější” (“insieme siamo piú forti”) lí accanto mi piace poco.

Domenica mattina il sole splende sulle strade deserte di Staré Město e l’aria è fresca ma non gelida. Le scarpe mi portano in riva alla Moldava: l’hotel della gita scolastica lo ricordavo piú grande, oggi è un cinque stelle di design da duecento euro a notte. In cima a Letná un metronomo (fermo) si erige dove sorgeva il monumento a Stalin; nel parco retrostante i cani corrono e le fanciulle pattinano. Al Castello, dove si è appena insediato il Generale, riconosco turisti romani e veneti al primo colpo d’occhio. Per Nerudova scendo in Malá Strana a recare omaggio (altrui) al Pražské Jezulátko. La collina di Petřín è in fiore: il giorno di san Massimiliano mi sembra un po’ presto.

Mandorli dai boccioli rosa; sullo sfondo, il muro del giardino di Palazzo Schönborn.

Amore, ritorna, ecc.

Esordisco nella vita notturna al Lucerna, un club sotterraneo modello Febbre del sabato sera.

~ Offlaga Disco Pax – op. cit.

Evička ha compilato una lista di locali premium mediocre dove noi quattro possiamo trascorrere il pomeriggio prima del concerto: nel primo apprezziamo lo stile cubista [1] e il fatto che la cameriera si dimentica di segnarci un paio di bevande in conto; nel secondo apprezziamo il cibo e il poter rovinare l’appuntamento romantico di due giovinetti antipatici al nostro stesso tavolo parlando ad altissima voce di circoncisione.
L’interno del Palác Lucerna è anch’esso un capolavoro dell’Art Nouveau, ma la velký sál ha bisogno di un piú potente impianto di aerazione.

Torno in albergo zoppicando. In piazza San Venceslao, i medesimi procacciatori di ventidue anni fa abbordano le comitive di giovani maschi offrendo loro spettacolini dal vivo, «l’ingresso è gratuito». Sono contento di distinguermi dai puttanieri italiani.

Vista notturna della piazza semi-deserta, illuminata dai lampioni e dalle vetrine.

Lunedí mattina al centro informazioni del Museo Ebraico sono il primissimo cliente. Vorrei vedere soltanto il vecchio cimitero, ma il biglietto copre anche una mezza dozzina di sinagoghe, in un itinerario piú o meno fisso. A tutti gli anziani volontari poliglotti mi rivolgo in lingua ceca, e li sorprendo tutti. Contrariamente a quanto spiegato dal goy che mi ha venduto il biglietto, per entrare nei luoghi di culto il mio berrettino in acrilico è sufficiente, la kippah non è necessaria. Noto però con disprezzo che non tutti i visitatori maschi tengono il capo coperto.
Non entro nella Sinagoga Vecchia-Nuova perché sono incapace di leggere la mappa sul depliant, e si è fatto tardi.

Dettaglio di una parete.

Sulle pareti della Sinagoga Pinkas sono scritti i nomi di ottantamila deportati nei campi di sterminio.

Sopra le lapidi e il muro esterno del cimitero appare l’insegna “Alforno”.

Sono sicuro che la focaccia di questo ristorante sia ottima, però il nome è quantomeno infelice.

Nessuna traccia del Golem.

  1. Altrove scopro dell’esistenza del rondocubismo.

The private psychedelic reel ·

Madhouse Express + Hypnotic Floor @ Kabinet Múz, Brno,

Madhouse Express: «There’s one genre I find boring, that’s classic rock. First band plays classic rock.» «Wait, they have a theremin!»

Hypnotic Floor: di birra e di fregna il baffo (viennese) s’impregna.

King Gizzard & The Lizard Wizard + Los Bitchos @ Velký sál Lucerna, Praha,

Los Bitchos: Na na na na na na na / Tequila!
(We didn’t get to listen to anything else, as they started playing on time while half the audience, including the four of us, were still queueing in the street outside the venue. A round of applause for the band’s management.)

King Gizzard & The Lizard Wizard: avevamo basse aspettative, ma.
Mi sono piazzato accanto al mixer, dove il fonico sembrava compiaciuto. Dopo la prima canzone ho pensato «i Kula Shaker lo facevano meglio nel ‘97». Alla terza canzone, una nenia che ripeteva le iniziali del gruppo, mi è apparso in visione mistica il Quadrato Magico dell’Asphalto:

M E D A R
E D E M A
D E M E D
A M E D E
R A D E M

Quando dallo hard rock, pretenzioso, sono passati a pezzi piú pop, brutti, ho smesso anche di ascoltare.
– I hurt my koleno in the mosh pit.
E quando il concerto è terminato, il pubblico praghese è sciamato alla šatna senza attendere l’encore.

Marcondirondirondello ·

[I]n quel momento gli parve di aver interrotto tutte le comunicazioni con il mondo e che ora fosse certamente più libero che mai e potesse rimanere in attesa lì, in quel posto vietato, fin quando volesse, e che si fosse conquistato quella libertà, come nessun altro avrebbe potuto; e a nessuno era consentito toccarlo o cacciarlo via, e tanto meno rivolgergli la parola; ma – questa convinzione era almeno altrettanto forte – era come se allo stesso tempo non ci fosse niente di più insensato, di più disperato di quella libertà, di quell’attesa e di quella invulnerabilità.

~ Franz Kafka – Il castello. Traduzione di Giuseppe Porzi, Newton Compton, Roma 2020.

Cicely, Scotland ·

– Have you ever been to Scotland, Dag Massi?
– Once.
– What was it like?
– I remember it much as one recalls a dream… or a nightmare.

Il ‘13 fu per me un anno particolare: ne avevo appena compiuti trenta, ero disoccupato avevo molto tempo a disposizione, e mi ero stancato dell’Italia. A febbraio trascorsi tre settimane in Cile: delle dimissioni di Joseph Ratzinger venni a sapere dalla radio mentre facevo colazione in un appartamento di Santiago («¿Murió?»), della vittoria dei Cottolengo alle elezioni politiche conversai a un tavolo di docenti nel refettorio di un’università gesuita. A giugno accompagnai un gruppo di pellegrine comuniste in Terra Santa: imparai la felicità da uno stormo di suore starnazzanti nel fiume Giordano, incontrai Dio (o, piú probabilmente, un agente della sicurezza in borghese) nei pressi della Porta di Sion.

Inviavo il mio CV principalmente ad aziende estere; ne avevo caricato tre versioni (in italiano, in inglese e in francese) sul sito dell’EURES.
A luglio risposi a un annuncio di lavoro apparso nella bacheca del sito, legato a un programma di tirocini finanziato dal governo scozzese, per un physics material science graduate (“laureato in fisica dei materiali”). A fine agosto il proprietario dell’azienda, un professore universitario, mi contattò per fissare un colloquio: ne feci un primo con lui al mattino, un secondo con un ingegnere elettronico al pomeriggio, e già a sera avevo un’offerta da valutare. La posizione era interessante, il salario era decente (buono, per gli standard italiani), le spese di trasferimento erano coperte. Risposi che ero lieto di accettare l’offerta. Tre mesi dopo lasciavo la mia lettera di dimissioni sulla scrivania del professore.

A Wick, nella contea del Caithness, vissi sedici settimane. Nei giorni che passai a organizzare il viaggio e a cercare un alloggio via e-mail, aprii il blog Cicely, Scotland, all’indirizzo cicelyscotland.blogspot.com. Il riferimento era alla mia serie TV preferita, Northern Exposure (it. Un medico tra gli orsi), il cui protagonista Joel Fleischman deve trasferirsi a lavorare nel paesino sperduto di Cicely, Alaska, per ripagare il debito contratto per laurearsi. Il blog era pubblico ma non indicizzato, e mi firmavo con lo pseudonimo Joel Pons Fleischman(n), dal nome dei due scienziati che pensavano di aver scoperto la fusione fredda. L’idea era di scrivere post come episodi di un telefilm.

Quel che andò storto si può leggere fra le righe. Mi piace pensare che ogni singolo disastro di quei centoundici giorni mi sia servito ad avere successo, in ufficio e fuori, quando mi sono trasferito qui in Repubblica Ceca: sapevo bene come non comportarmi, cosa non fare. Anche oggi, nell’attuale posizione, posso tenere il mio ex-capo come esempio da non seguire nella gestione dei dipendenti, in particolare dei neo-assunti. (Val, che l’ha conosciuto a una fiera di settore, perché il mondo dei fisici è piccolo, dice sempre «il tuo ex-capo è un coglione»; non concordo.)

Ho importato Cicely, Scotland dopo aver fatto un’accurata pulizia del codice di Blogspot, e dopo aver allineato lo stile di quei trentasei post alle Virtualia?. Ho recuperato le foto dai miei rullini digitali, e qualcuna dai social network. Molti link ora puntano alle corrispondenti pagine salvate nell’Internet Archive. Alcuni paragrafi che preferisco tenere sotto chiave in una cartella del mio laptop sono indicati come [OMISSIS].
Ad accompagnare Cicely, Scotland ho compilato un nastrone di sedici canzoni che quell’autunno andavano per radio, o che ascoltai in loco, o che a posteriori ho associato a quell’esperienza: s’intitola Sweet Sixteen e potete scaricarlo fintanto che non lo cancello dal server.

Buona lettura, e buon ascolto!

Sweet Sixteen

  1. David Schwartz – Theme from Northern Exposure (1990)
  2. I Am Kloot – Northern Skies (2010)
  3. Chvrches – The Mother We Share (2013)
  4. Icona Pop feat. Charlie XCX – I Love It (2012)
  5. Jason Derulo feat. 2 Chainz – Talk Dirty (2013)
  6. Air – Sexy Boy (1998)
  7. Zero 7 – In the Waiting Line (2001)
  8. Neon Waltz – Sombre Fayre [Demo] (2015)
  9. Billy Bragg – Greetings to the New Brunette (1986)
  10. Mogwai – Hungry Face (2012)
  11. James Blake – Life Round Here (2013)
  12. London Grammar – Strong (2013)
  13. Daughter – Youth (2013)
  14. Erica Mou – La neve sul mare (2012)
  15. The Radio Dept. – Annie Laurie (2002)
  16. John Denver – Leaving on a Jet Plane (1969)
  17. Lanterns on the Lake – Not Going Back to the Harbour (2011)

Sweet Sixteen.zip (120 MB)

Druhá šance ·

Obligatne + Jack the Hipper @ Alterna, Brno,

By the time we got to the Alterna, Obligatne had already started playing their first song. Weren’t they supposed to be the main act?
Last year I was a bit disappointed by their performance on this same stage. Last night they played a more varied set, some new songs, working as a band without any virtuoso excess, the guitarist messing up a few times in front of the forgiving audience… Still they failed to impress me.

I was by far the oldest person in the venue.

Choose a side! ·

Composizione di tre graffiti su un muro: «Choose a side!»

Krajské vojenské velitelství AČR, Ponava, 29. ledna 2023.


Orso di pezza abbandonato in strada.

Opuštěný medvídek, Jundrov, 5. února 2023.


Coreografia dei tifosi nel settore ospiti, dietro a un lungo striscione con la scritta «Cosa Nostra».

Gli ultras del Baník Ostrava sanno farsi notare. Městský fotbalový stadion Srbská, 18. února 2023.

Nová hudba, ktorej verím #7 ·

Nia Archives – So Tell Me…

(Via Steve Lamacq.)
Early last year, Nia Archives’s 18 & Over was in my drafts for a while, but there weren’t other songs that caught my attention enough to write a post around them, so I just deleted those drafts. In the meantime she signed for a major label, she won the BBC Music Introducing Award, and more importantly she got into the FIFA 23 soundtrack; I guess that her debut album is due soon, after two independently-released EPs. Compared to previous singles, So Tell Me… has this melodic line that sounds engineered to please to a more mainstream audience; or perhaps it is a sign of an artistic development? This year I must follow her closer than I have done so far. Booyaka! Booyaka!

Dave Rowntree – Devil’s Island

(Via Veikko’s Blur Page.)
Yes, that Dave Rowntree: he has just released his first solo record, one that I did not expect, and that surely I did not expect to be quite good. Devil’s Island is the first track, and it is very Albarnian, with a hint of Hollow Talk by Choir of Young Believers, plus a couple of slavic words for good measure (I get острова, indeed “island” in *gulp* Russian).

The Waeve – Over and Over

(Via Veikko’s Blur Page.)
«Graham Coxon and Rose Elinor Dougall are making music together. Also, they are boning. Oh, they have a child now.» First reaction: shock! Then I pretty much ignored them until their debut album was released last week: which is complex, greater than the sum of its two core parts, yet inexplicably sounding like Graham Coxon and Rose Elinor Dougall. It will end up in every critic’s end-of-the-year top-ten list.

Dephcut feat. Grna – Brothers & Sisters

(Via Nika Svorenčíková.)
Whenever Dephzac releases a new single as his funky alter ego Dephcut, I post it here, because his music is full of joy. I wonder if he cleared the sample that he lifted straight from The Soul Children; while James Brown’s signature scream must be in the public domain by now.

Daughter – Be On Your Way

(Via Steve Lamacq and Nika Svorenčíková.)
Daughter is back as a band, after six years and one uninteresting solo project, with a song about lost love or mourning a dear one, you decide. Be On Your Way builds up in its own restrained way, the Daughter way, the electronic-tinged arrangement lifting Elena Tonra’s quiet vocals.

Patrick Wolf – Nowhere Game

(Via Nika Svorenčíková.)
Patrick Wolf is back holding his signature viola, after ten years when I wondered where he had hidden himself. The video for Nowhere Game is delightfully gothic, and if the song gives us a hint, the new record will be steeped in his chamber-electro-pop roots.

Everything but the Girl – Nothing Left to Lose

(Via Nika Svorenčíková and Steve Lamacq.)
Everything but the Girl is back as a duo, after twenty-four years and countless solo albums, and what a comeback this is! I do not agree that their new single Nothing Left to Lose is that much modern-sounding, as Ben Watt wanted it to be, but damn is it a great ‘90s house track! And didn’t we miss Tracey Thorn singing something like kiss me while the world decays, kiss me while the music plays?

Internet explorer #24 ·

Rands in Repose › The Seven Levels of Busy, by Michael Lopp.
Cracks in the facade. I have made it a talking point in my office.

The Railway History Database, by Martin Hoffmann.

Trains for Europe & #CrossBorderRail, by Jon Worth.
How did he miss the Bohumín → Český Těšín → Čadca → Žilina line?

Radio Prague International › The Velvet Divorce: 30 years, by Daniela Lazarová, Thomas McEnchroe, Anna Fodor et al.

BBC › Citron: The exquisite fruit that brings rabbis, by Solveig Steinhardt.

Oblomov › Continuous Content Generation, by Giuseppe Bilotta.
There is a trend that has been going on for decades […]: the replacement of art with content, and artists with creators.

Aktuálně › Ital padesát let žije bez elektřiny, plynu i vody. Zahoďte chytré telefony, radí, od Jany Václavíkové.

Pluralistic › Tiktok’s enshittification, by Cory Doctorow.
Here is how platforms die: first, they are good to their users; then they abuse their users to make things better for their business customers; finally, they abuse those business customers to claw back all the value for themselves. Then, they die.

Techdirt › How The Friedman Doctrine Leads To The Enshittification Of All Things, by Mike Masnick.
Wall Street is not visionary. Wall Street does not believe in long term strategy. It believes in hitting your short term ever increasing numbers every three months. Or it will punish you.

Atlas Obscura › The Sauce That Survived Italy’s War on Pasta, by Sam Lin-Sommer.

The Guardian › 62 dating green flags that shout ‘this one’s a keeper’, by Justin Myers.
There should also be eye contact (and some subtle checking you out across the table when they think you’re not looking).

I love Britt Lower but I don’t like her short film; yet kudos for showing on screen my worst nightmare. #squareperson

Cirillico e metodico ·

Perché diamine in alfabeto cirillico la forma corsiva della т si scrive т: острова острова, pensavo fosse rotto il font.
In Serbia complicano le cose e scrivono ш̄, grafema identico alla ш ma con un tratto sopra, da segnare col dito nella condensa sul tavolino.

Impossibile per le mie tenere orecchie occidentali cogliere la differenza fra џ (dž) e ђ (đ/dj); tutta colpa della Ј.

E un generale come Presidente ·

Oggi i Cechi hanno eletto il presidente della Repubblica, carica comparabile per poteri a quella italiana: è Petr Pavel, ex-generale della NATO, sedicente conservatore con idee socio-economiche che lo pongono a sinistra di Elly Schlein. Pavel è famoso per aver guidato un contingente misto ceco\slovacco che salvò un manipolo di soldati francesi dalle grinfie della Tigre Arkan durante le guerre di Jugoslavia. Filo-occidentale, filo-europeista, studiava da spia comunista quando il comunismo cadde. Comunicazione ricca e strepitosa, a partire dal logo.
Il generale Pavel ha battuto al secondo turno un’altra ex-spia comunista, il miliardario Andrej Babiš alias “agente Bureš” alias “il Berlusconi cecoslovacco”, ex-primo ministro, che si era defilato per tutta la campagna elettorale, per poi sparare fuochi d’artificio e abbondante letame nelle due settimane che hanno condotto al ballottaggio. La terza candidata principale, Danuše Nerudová alias “fake Zuzana Čaputová”, non è riuscita a trasmettere nessun messaggio circa se stessa oltre a «sono giovane e donna»: bene, ma un po’ poco.

Non sono entusiasta di avere un ex-militare capo di Stato ma, se moja prezidentka ha rotto il protocollo istituzionale ed è volata da Bratislava a Praga per congratularsi con Pavel direttamente nel suo quartier generale, penso di potermi fidare anch’io. Ci rileggiamo fra cinque anni.

East Journal › Rep. Ceca: Habemus generalem. Petr Pavel è il nuovo presidente, di Andreas Pieralli.

Miroslav Válek – L’uccisione dei conigli ·

(S tisíci omluvami Ivaně K.)

Nel racconto Ivana, Ivana Dobrakovová cita il titolo di una poesia dell’autore slovacco Miroslav Válek, Zabíjanie králikov, che la traduttrice Alessandra Mura rende come L’uccisione dei conigli. Sul web la versione in italiano della poesia non si trova, ma si trova il testo originale. Quindi cosa ho fatto? Be’, l’ho tradotta io, aiutandomi con il vocabolario online slovacco-inglese dell’editrice brunense Lingea. Non ho barato con Google Translate né ho sbirciato le versioni esistenti in altre lingue. Inutile scrivere che la mia conoscenza dello slovacco è limitata, perciò sicuramente ci sono errori e incomprensioni; o scelte personali, come rendere zabíjať con “macellare”.

Buona lettura, e felice anno del coniglio! Přeju vám příjemné čtení, a šťastný rok králíka!


V nedeľu po raňajkách,
keď je vzduch asi na polceste k ľadu,
v komíne pištia tenké flauty myší,
v nedeľu po raňajkách,
po čerstvom snehu kráčať
ku klietkam.
Stiahnuť si rukavice na ružovú slávnosť,
na plot ich napichnúť
jak čerstvo odseknuté dlane
a fajčiť cez dvierka.
Potom už vsunúť hľadajúcu ruku
a s dymom v zuboch vravieť sladké reči,
lichôtky, jemné slová,
trochu poľutovať,
uchopiť pevne za kožu
a zdvihnúť z teplej slamy.

La domenica dopo colazione,
quando l’aria sta quasi girando in ghiaccio,
nel camino i topi squittiscono sottili flauti,
la domenica dopo colazione,
camminare lungo la neve fresca
verso le gabbie.
Levarsi i guanti del dí di festa,
infilzarli alla recinzione
come palmi mozzati di fresco
e fumare attraverso il cancelletto.
Poi infilare la mano alla ricerca
e con il fumo fra i denti parlottare,
fare complimenti, dire parole tenere,
compatire un poco,
afferrare fermamente per la pelle
e sollevare dalla paglia tiepida.

V nedeľu po raňajkách,
čpavok ovoňať.

La domenica dopo colazione,
annusare l’ammoniaca.

Chvíľu tak držať ľavou dolu hlavou,
pozerať ako brunátnejú uši,
pohladkať nežne za väzami,
pofúkať, odniesť
a náhle pravou udrieť do tyla.

Con la sinistra tenere cosí un momento a testa in giú,
osservare come imbruniscono le orecchie,
accarezzare gentilmente sulla nuca,
dare un bacio, portare via
e d’improvviso con la destra colpire dietro il capo.

Ešte raz v dlani zacítiť odraz
k zbytočnému skoku,
mať ťažko v ruke,
sladko na podnebí,
počuť, ako sa otvorilo nebo zajačie
a plné hrsti srsti z neho padajú.

Percepire ancora una volta nel palmo il balzo
per un inutile salto,
tenere a fatica in mano,
dolce nel palato,
sentire, come si è aperto il cielo del leprotto
e da lui cade una manciata di folti peli.

Viedenský modrý,
belgický obor,
francúzsky baranovitý,
český strakáč,
ale aj bastard z hocijakej krvi,
všetci zomierajú rovnako rýchlo
a bez slova.

Il blu di Vienna,
il gigante belga,
l’ariete francese,
il pezzato ceco,
ma anche il bastardo di chissà quale sangue,
tutti muoiono ugualmente in fretta
e senza una parola.

V pondelok mať modro pod očami, mlčať,
v utorok uvažovať o osude sveta,
v stredu a štvrtok
vynájsť parný stroj
a objavovať hviezdy,
v piatok myslieť na iné,
ale najmä na belasé oči,
celý týždeň ľutovať siroty
a obdivovať kvety,
v sobotu sa do ružova vykúpať
a usnúť na jej ústach.

Il lunedí avere le occhiaie, restare in silenzio,
il martedí riflettere sul destino del mondo,
il mercoledí e il giovedí
inventare la macchina a vapore
e scoprire le stelle,
il venerdí pensare ad altro,
ma specialmente a occhi azzurri,
tutta la settimana sentirsi in colpa per gli orfani
e ammirare i fiori,
il sabato fare un bagno di ottimismo
e addormentarsi sulla bocca di lei.

V nedeľu po raňajkách
zabíjať králika.

La domenica dopo colazione
macellare il coniglio.

[Ultima revisione: / Poslední revize: .]

L’architetto ·

Stamattina ho avuto una videochiamata con la mia capa per rivedere il mio Individual Development Plan (“piano di sviluppo individuale”): è una chiacchierata che io e lei facciamo a cadenza regolare per fare il punto del mio progresso come dipendente. (Allo stesso modo io faccio una chiacchierata a cadenza regolare con ciascun membro della mia squadra per fare il punto del loro progresso come dipendenti.) Io e lei teniamo traccia del piano in un gestionale interno (che stamattina non funzionava). Almeno nella teoria spacciata dall’ufficio del personale, questo documento dovrebbe servire a me per esplicitare quali obiettivi ho come lavoratore, e per dettagliare un percorso per raggiungerli; nella pratica serve all’azienda per mantenermi motivato, e per rendermi piú produttivo. Sulla base della mia breve esperienza dai due lati, se c’è impegno reciproco è un win-win: il dipendente consapevole di sé dichiara cosa vuole diventare o dove vuole migliorare, il manager capace tiene conto delle sue aspirazioni nell’assegnazione delle mansioni e delle risorse. A me, e a qualche membro della mia squadra, l’IDP è servito a crescere in ruolo e stipendio.

Il periodo immediatamente successivo a un giudizio formale è l’ideale per ridiscutere il piano. Per il 2022 ho ricevuto una valutazione piú che positiva, pertanto per il 2023 ho formalizzato alla mia capa due intenzioni: consolidare ciò che di buono ho fatto, e colmare lacune specifiche. Al termine di quest’anno solare, andando verso il compimento del terzo nell’attuale posizione, valuterò se sono soddisfatto del mio impiego o se piuttosto dovrei cercare altro.
«Cosa ti piace di piú in quel che fai», mi ha chiesto. Le ho detto che questa domanda è in cima alle mie note private, perché me l’ha già fatta, ma non ho ancora trovato una risposta. È il trattare processi e sistemi aziendali? Ho una conoscenza ampia e profonda di cui sono orgoglioso, ma non è esportabile altrove. È il risolvere i problemi? Se non fossi bravo a risolverli non mi cercherebbero da ogni ufficio in ogni regione, ma spesso mi sento come Monsieur Malaussène. È il migliorare le attività che gestisco? Dovrebbe essere la mia mansione fondamentale, ma sono sempre troppo impegnato a risolvere problemi. È l’essere a guida di altre persone? Col tempo ho imparato, e tengo molto ai miei dipendenti, ma non è il mio ruolo naturale.
«Penso che la tua forza sia saper combinare tutto questo», ha replicato.

Mi è venuto in mente uno scritto che ho letto di recente:

[N]on dal punto di vista professionale ma mentale, bisogna essere architetti.

L’architetto è colui che sovrintende la costruzione. Per farlo deve conoscere le tecniche costruttive e come queste concorrono fra di loro per concretizzare l’unità dell’edificio. L’architetto quindi non si occupa solo della sua competenza (la forma della costruzione, la sua distribuzione interna, i materiali con cui è fatta) ma deve conoscere ogni scienza che serve a realizzare l’edificio: deve sapere (avere coscienza, non conoscere nel dettaglio) di strutture, di impianti, di produzione energetica, di impatto ambientale. E, come se non bastasse, deve conoscere leggi e regolamenti, mercati ed economie, persino qualcosa di psicologia.

Non mi riferisco però all’architetto dal punto di vista professionale. Se la mia professione d’origine mi ha insegnato qualcosa è, appunto, l’atteggiamento più che altro: essere al di sopra della costruzione e governarla comporta sapere tante cose, ma conoscerle serve ad averne un quadro generale chiaro, capendo soprattutto come si influenzano fra di loro e quale importanza abbiano singolarmente e nel contesto.

Fra le molte professioni, quantomeno da un punto di vista direi filosofico, l’architettura comporta la più grande flessibilità mentale possibile. E soprattutto allena a sapere ascoltare le esigenze di diversi attori, comprendendole e cercandone la sintesi finale.

Forse quel test di personalità ci ha preso davvero.

Due toot di SwiftOnSecurity da Infosec Exchange: «Being an omnivorous technology generalist is punishing to start out as and lasts for years, but becomes incredibly valuable later. That’s something I wish I could have told the prior me. Come to understand: Being a generalist is not about “lacking experience to call yourself an expert.” Touching on innumerable disciplines is itself a crucial skill that lets you operate in the real world with huge autonomy. Just know your limits. Most problems don’t need specialists. Generalists are the ones that ***know when to call in the specialists and give them what they need***.» «I’m an IT generalist. I can troubleshoot 801.x authentication based on event logs. I can write basic SQL queries to ascertain if data is there. I know routine basic coding errors in the theory of user authentication. And that is enough. It is enough for almost anything I get called about. And that is why I am pinged by random people chatting me each day. When I am not enough I get you to the specialists. Because I know they exist. Because I know what I don’t.»

Un amplificatore in paranoia ·

L’unica volta che ho provato simpatia per Matteo Renzi, da che è salito alla ribalta della politica nazionale, è stata nel settembre del 2019, quando Striscia la notizia mandò in onda un suo deepfake: ovvero un video in cui il suo viso era stato sovraimposto via software alle immagini che ritraevano un suo imitatore, per far sembrare agli spettatori che fosse proprio lui a fare dichiarazioni sconvenienti. L’afflato di simpatia finí presto, appena capii che Renzi non avrebbe portato via la pelle in tribunale ad Antonio Ricci (Mediaset è sempre bene tenersela amica).

Il deepfake piú famoso ritrae Barack Obama ed è interpretato dall’attore comico, suo imitatore e premio Oscar, Jordan Peele:

Già un anno e mezzo prima del video paraculo di Striscia, il deepfake Obama-Peele per Buzzfeed metteva il pubblico in guardia dal prendere per buono tutto ciò che vediamo, oggi che è possibile manipolare digitalmente qualunque registrazione.

Il primissimo link della mia collezione Internet explorer è a un articolo del New York Times del 2020, a firma della giornalista di tecnologia pop Kashmir Hill, su un’azienda statunitense di riconoscimento facciale che ha rastrellato sui siti web, perlopiú illegalmente, venti miliardi d’immagini di volti umani, e li ha usati per sviluppare software che poi ha venduto a forze dell’ordine e governi (anche autoritari).
Le foto di miliardi di noi sono a disposizione di guardie e dittatori. «Chi non fa niente di male non ha niente da temere» dicono alcuni, anche fra i miei 2,5 lettori. Be’, non ha niente da temere finché guardie e dittatori concordano con ləi nel definire cosa è “male”. O finché il software di riconoscimento facciale non commette un errore nel far corrispondere il suo volto nel database a quello di un criminale: succede, e succede piú spesso ad appartenenti a minoranze etniche.
Anche aziende di chiara fama come Adobe hanno cominciato (surrettiziamente) a usare le immagini elaborate online dagli utenti per allenare i propri software d’intelligenza artificiale. Gli algoritmi di AI sono ormai tanto evoluti da creare artefatti in grado d’ingannare l’occhio umano: vedete per esempio le foto generate da This Person Does Not Exist, o le illustrazioni generate da Stable Diffusion a partire da un testo scritto.

Quindi, riassumendo: le fotografie che ci ritraggono e che pubblichiamo su Internet, spesso associate al nostro nome, possono essere raccolte da soggetti privi di scrupoli; e quelle medesime fotografie possono essere date in pasto a modelli matematici che producono risultati realistici. Le conseguenze sono a livello sociale e personale.
A livello sociale, l’unico valore rimasto alle testimonianze visive – e, in un futuro prossimo, a quelle auditive – è il valore attribuito alla fonte. Possiamo fidarci della validità di un’immagine o di una registrazione tanto quanto possiamo fidarci della reputazione di chi ce la presenta; e la reputazione è un concetto assai fragile.
A livello personale, dobbiamo smettere di pubblicare nostre fotografie (o video) sul web; o quantomeno dobbiamo rendere difficile associarle al nostro nome. Se l’identità pubblica di una persona è data dal suo nome e dal suo aspetto, entrambi sono ormai completamente falsificabili.

È per questo motivo che sulle Virtualia? non pubblico foto che mi ritraggono, e che da sempre chiedo ai familiari e agli amici di non taggarmi su Facebook (anche se non ho mai avuto un profilo). Però cosa dovrei fare ora che voglio ripubblicare su queste pagine una selezione di post dai miei blog semi-privati, dove qualche selfie c’era? Dovrei eliminare quelle foto, spesso il nucleo di un intero post? O forse dovrei travisarmi il volto, tipo cosí?

Selfie sullo sfondo di una piazza con chiesa e alberi. Il volto è poco riconoscibile perché è tagliato obliquamente da un riflesso irregolare.

Plaza Regina Coeli, Ciudad de México, 8 novembre 2022. La camera frontale del mio cellulare rispetta la mia privacy.

Madri e camionisti ·

(Pochissimi i camionisti.)

Ivana Dobrakovová è una traduttrice e scrittrice slovacca, mia coetanea, che a ventitré anni si è trasferita dalla sua Bratislava a… Torino (sono curiosissimo di sapere il perché). Me l’ha segnalata Evička che qualche mese fa ha letto la sua ultima raccolta di racconti, Pod slnkom Turína (“Sotto il sole di Torino”, non so se il titolo ha un’accezione esotica o ironica).

Madri e camionisti è il suo unico libro tradotto in italiano: è stato pubblicato nel 2021 dalla casa editrice fiorentina Spider&Fish anche grazie ai fondi comunitari ottenuti con la vittoria del Premio dell’Unione Europea per la Letteratura 2019. Sono cinque racconti con cinque donne protagoniste: tre slovacche di Bratislava, un’italiana di Chieri, un’italo-slovacca in Borgo Vanchiglia; tutte nate nei primi anni Ottanta.
Il filo conduttore è il disagio esistenziale: Svetlana è stata negletta da un padre alcolizzato; Ivana è reclusa in casa dall’adolescenza; Olivia disprezza tutti coloro che incontra; Lara odia suo marito e suo figlio; Veronika è incapace di pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Siamo nella loro testa e ascoltiamo il loro monologo interiore. La loro voce è piana quando cominciano a ricordare eventi e sensazioni, e si fa sempre piú concitata e febbrile quando affiorano il rimosso e i traumi. Tutte e cinque sono “narratrici inaffidabili” perfino per sé: ed è in quei non-detto che si rivelano a poco a poco, alle donne stesse e al lettore, che Dobrakovová compie la migliore opera di scrittrice.

All’epoca in cui sono nata, di Ivane ce n’era a strafottere, si inciampava in un’Ivana a ogni passo […]

Mi chiedo se sia un caso che Dobrakovová abbia dato il proprio nome al personaggio del racconto piú riuscito. Questa Ivana, da quando aveva tredici anni, vive in una stanza che ha riempito di soffocanti piante d’appartamento, ed esce soltanto per far visita alla psichiatra e a un’amica. Ricorda i tempi in cui marinava la scuola per andare con l’amica a faticare in un maneggio di cavalli, dove faceva le prime esperienze sociali e proto-sessuali fra gelosie e rivalità. L’incontro con un uomo famoso e galante la coglie completamente indifesa e destabilizza la sua psiche, in un crescendo di euforia e depressione che si alternano fino allo svelamento del trauma giovanile e alla distruzione della stanza. Narrata, per cosí dire, come se nel buio della sua mente qualcuno scattasse foto con il flash.
(Per chi passasse di qui dopo aver letto il racconto, sul finale ho due opinioni: o il cavallo fu sventrato da quei due teppisti che avevano ucciso il coniglio, ma inconsciamente Ivana se ne assunse la responsabilità per senso di colpa; o forse fu sventrato da Ivana stessa, in un parallelismo con il parto della giumenta il cui ricordo conclude la storia.)

Maternità fallite e madri assenti costellano le pagine del volume: a causa di scelte sbagliate, o di uomini sbagliati, o per semplice disinteresse. Ricorre spesso anche il tema del corpo come veicolo di espressione del disagio o del trauma: vorrei saper cogliere il doppio riferimento a PPP, lo lascio a lettori piú acculturati. Io ho sentito echi del primo Ian McEwan (che l’autrice cita di passaggio in un contributo sul Guardian.)

In Italia Madri e camionisti non se l’è filato nessuno. È un peccato, perché ora per leggere Dobrakovová mi tocca imparare anche lo slovacco.

Mým slovenským čtenářkam doporučím tuto nahrávku o knize z rádia Regina.

Safe ghettos ·

What I have understood from tons of articles about the Fediverse is that Mastodon has been developed by its only ruler with the explicit goal of making it a “safe space” for marginalised groups that are harassed on mainstream social media. Basic features like searching and quoting have been intentionally sanitised, or outright banned, to prevent bad actors from exploiting them. Now that hundreds of thousands of people have migrated, and expect to find such basic features, there are ongoing discussions on whether implementing them would make Mastodon a toxic environment like Twitter.

New Mastodon users are encouraged to join not the biggest instances, but any thematic server which is closest to their persona, job or hobby. So we will find servers for the LGBTQ+ communities, for native and indigenous people, for journalists, for web designers, for beer crafters, for bookworms, etc. Each server is run by an admin, or by a group of admins, who moderate their instance on the basis of a code of conduct; there is also a general covenant that they can refer to.

Of course people are not defined by one single trait, and may have different interests they want to cover within their Fediverse experience. One user may be a trans person who works as a bank clerk, spends their weekends by going birdwatching, and supports a football club. First they may join an LGBTQ+-friendly instance, then start following folks who post pictures of mockingbirds on a second server, and later other football enthusiasts debating gegenpressing on a third server. This user’s federated timeline will fill with tweets toots from all three servers, based on the accounts that they follow and on the content that gets boosted.
One day on the birdwatchers’ instance a user posts a snarky comment about some law that their parliament just passed, igniting a discussion that degenerates in a flame war. Between pictures of lovely sparrows, conservative and progressive birdwatchers start talking politics, among which are trans-related policies. Our user interacts with them, silencing and blocking a few; some nasty ones reach back and call them names. The admin of the LGBTQ+-friendly instance notices the brouhaha, perceives the birdwatchers as one bunch of fascists, and defederates their server to protect our user and the whole community. Our user is now safe from harassment, but has lost access to good birdwatching content. At the same time, the progressive birdwatchers have lost a whole server of allies, and their instance has shifted slightly towards the right.
OK, this is one unlikely example, of course there are no birdwatchers who like football, are there?

There is this (in)famous Italian blogger who holds mildly unconventional ideas on the most disparate topics, and he is sometimes fun to read. I once interacted with him on IRC in the early Noughties, one evening he was pushing :wumpscut: MP3s to uninterested chatters. This guy has been writing about the Fediverse for years, mostly from a technical point of view, and runs his own personal Pleroma server, with a public list of blocked instances. I am surprised to read that the latest entry in his list is the very same instance that I had thought of joining, where there are no nazis nor pedos, just IndieWeb lovers boosting too many boring political toots; if I were there, we would not be able to interact.

Last week on Twitter some British misogynist engaged publicly with Greta Thunberg to stand out as a macho man in the eyes of his followers: the Swedish activist blasted him, sending him into a rage mode that got his location exposed to authorities who were looking for him because allegedly he is a fucking human trafficker. Now he is in prison. All’s well that ends well.
On Mastodon this exchange couldn’t have happened, because the quote-retweet quote-retoot feature is missing, by design. But the same effect could be accomplished by posting a screenshot of the original toot, a practice that is widely used to refer to content across walled-garden sites. The good intention here is to protect users: but the Thunberg case shows that fighting back is an option, that confronting and trolling the fuck out of fascists can work. Then certainly there is silencing and blocking.

Twitter’s and other social media’s toxicity doesn’t lie in the heated discussions: it lies in the engagement tactics of locking users in the sites and of promoting divisive content. You cannot ask social media companies to drop these tactics: their goal is not to host democratic discourse of quality, their goal is to make money.
On the other end, a social network that is designed to soften and neutralise the public discourse may have the unintended effect of suffocating its users in smaller and smaller echo chambers, where one only interacts with almost identical copies of oneself. “Safe spaces”, “safe ghettos”. I am not interested in those.

Il tempo della gratitudine ·

Gianluca Vialli mostra la Coppa dei Campioni indossando la maglia della Juventus al termine della finale del ‘96.

È stato l’ultimo capitano juventino ad alzare la Coppa dalle Grandi Orecchie, ma ho sempre associato Luca Vialli alla Sampdoria (ovviamente) o persino al Chelsea (che senza di lui non sarebbe diventato uno dei club piú vincenti dell’ultimo quarto di secolo).

Keeping it simple ·

I was an avid Twitter reader for years, although I never had an account. I know it is a toxic environment, engineered to keep users locked in, but it represents the world’s biggest public square, and it is a vast source of content, from news to memes, from philosophy to shitposting. Following the clusterfuck caused by Space Karen, I took the opportunity to quit the Twitter habit cold-turkey.

At the same time I toyed with the idea of joining the Fediverse (which is based on the public ActivityPub protocol, and mostly open-source), either on a shared instance like IndieWeb Social, or via a personal Mastodon or Pleroma server. I have read tons of sociological and technical articles about the Fediverse, and especially Mastodon, none of which I have bookmarked. In the end I decided not to join a shared instance, because I don’t have much to say in a public square, and because I am puzzled by the unwritten rules of the community. And the tribulations, between requirements and limitations, to run a personal server? To me, a potential power-user, with some past experience in running a VPS, this specific admin tax seems unbearable.

This is to say that I am going to stick with the stack that I have been running on for three years: domain registration and shared web hosting at a local company, e-mail handling by a major European provider, HTML+CSS for writing and styling content, Atom (the web standard) for syndication, Atom (the defunct software) as my text editor and file uploader of choice.
It is the simplest stack that I can think of, it fits all my real needs, and I spend only about 6€ per month to maintain it.
Moreover, if someone pays for the registration and hosting, even without maintenance, these pages will render in perpetuity.

#newwwyear(s) ·

There is (was?) this IndieWeb initiative to encourage people to tweet [post] their personal website plan for the upcoming new year.
I have a few ideas, but I guess that implementing them will take me a bit longer than only twelve months. By order of importance:

  • I want to publish, as part of my Virtualia?, selected posts from Cicely, Scotland (2013) and from Moravian Like You (2016–2019). Both blogs were taken off Blogspot shortly after their closure, and are stored as an XML file in my laptop along with embedded pictures. I would have to pick those posts that are still somehow relevant, and that I can make public without infringing libel laws or running into the ire of my past and present employers (they were an expat’s a migrant worker’s journals, so there were references to my daily job). Also I would feel the need to adapt the style of those posts to the style of these pages (in terms of layout and everything else), like I did with my JuventiKnows articles. My deadline for Cicely, Scotland (a handful of entries) is the end of January; for Moravian Like You (more than two hundred and fifty entries) I would be happy to re-publish one blog year every quarter.
  • ☐ I want to add a touch of vanilla JavaScript to the homepage, to display a random quotation. The current quotation, which would work as a fallback if JS is turned off in the browser, is a fitting line from a poem by Eugenio Montale: Piove sui works in regress.
  • I may also add a title over the indexes of each blog year, along with a symbolic quotation-of-the-year, though that may be too much.
  • I am not 100% satisfied with having the OPML list of feeds I read nested into the Blog section: yes, it acts as an old-style blogroll, but it is mainly a list of links. I may expand it with non-feed links to resources I like, and move it to the top line of the navigation bar.
  • Then I would move the links to my own feed and to my stylesheet from the navbar to the footer; and perhaps add a sitemap too?

I will update this post by checking the boxes above as I implement (or not) each idea.

  • How could I forget about the most useless possible layout improvement: the dark mode?