Virtualia?

Piove sui works in regress.

European, italiano, piemontèis. Falso e cortese. Geriatric millennial. Bezbožný. Samotář. 100% spoleh!

Kazakhstan /3 il posto delle mele ·

Sul volo Istanbul–Almaty faccio fatica a prendere sonno. Mi sveglio definitivamente passato il Caucaso, e mi metto a guardare dal finestrino le luci delle città delle cinque repubbliche-stan dell’Asia Centrale. Almaty è l’ultima ad apparire, giusto all’alba, là dove termina l’altipiano, cinta da una quinta di montagne innevate.
Sull’atlante di quando andavo a scuola, quando l’Unione Sovietica era non storia ma geografia, Almaty aveva ancora il toponimo di Alma-Ata. Nelle lingue turche alma significa “mela”, e in tutta l’area si trovano meleti selvatici che fanno pensare che pianta e frutto siano nati qui.

Installazione col simbolo della città: il nome in cirillico “Алматы” dentro una mela-cuore rossa su un prato verde.

All’aeroporto attendo invano il taxi che avevo concordato con l’albergo, albergo scelto per il servizio taxi dall’aeroporto. Il traffico mi ricorda quello di Città del Messico, non tanto per il volume quanto per la frenesia inutile; piú delle auto sono pericolosi i monopattini elettrici. Le case basse e mal tenute, con le inferriate alle finestre e i tetti di lamiera, contribuiscono ad associare nella mia mente le due metropoli. In albergo le tre receptionist che si avvicendano per me – unico cliente – parlano inglese come io parlo russo, e ora capisco le difficoltà di comunicazione che abbiamo avuto via e-mail.

Statua brutalista in cemento di una figura femminile a braccia alzate che tiene in mano una sciarpa e un uccello, con un drappo raffigurante una scena di scontri fra soldati e popolo che si dispiega ai suoi fianchi come due ali.

Timur Suleimenov – Tauelsizdik tany (“L’alba della libertà”), 2006, particolare.

Entro nella grande sede di una banca in piazza dell’Indipendenza, prendo il tagliandino e siedo come un bravo cliente. Quando è il mio turno vengo accolto nell’area VIP separata dalla plebaglia. Alla bancaria dietro il vetro spiego in inglese e in ceco che voglio cambiare euro in tenge, e prima che vada in tilt le porgo il passaporto e il contante. Si consulta con le colleghe, poi tramite Google Translate mi fa sapere gentilmente che devo aprire un conto con il manager della filiale. Mi profondo in accorati ringraziamenti e me ne vado a cercare un ufficio di cambio.

Sulla sinistra, un edificio con facciata in cemento e vetro, sormontato da un’insegna azzurra con il medesimo motivo grafico della bandiera nazionale. Sulla destra, una fontana a scalinata. Lontane sullo sfondo, una torre e delle montagne innevate.

La città è davvero grande e ha larghi viali alberati che non rimandano necessariamente alla tradizione sovietica. Il cielo è terso e c’è una luce da cartolina in technicolor che è sprecata a illuminare palazzi in sé poco appariscenti. La quinta di montagne innevate che cinge Almaty a est e a sud è ciò che la rende interessante al turista. Dalle montagne scendono torrenti intubati nel sottosuolo che riaffiorano qua e là come canali; le numerose fontane riprendono il tema dell’acqua, benché in forma urbanizzata.

Torrente d’acqua stretto in un canale largo pochi metri, dietro una ringhiera con decorazioni in ferro.

Il Kök Töbe (“montagna verde”) è un parco naturale, trasformato in parco giochi per i piú abbienti della città. Si arriva in cima in sei minuti con una funicolí funicolà le cui cabine – dette gondola – sono state costruite in Italia. La vista sullo smog che sovrasta la città è spettacolare, le attrazioni sono quelle di un luna park, i bambini sono pochi. Non sono l’unico turista, non sono neanche l’unico turista occidentale, però non penso che radunati insieme riempiremmo un autobus. Nella fontana in bronzo in granito a forma di mela getto una moneta da 50 Kč. Non so quale desiderio esprimere.

Veduta del Kök Töbe da una cabina: la funicolare con i piloni, i cavi e le altre cabine, e la torre della televisione. Sullo sfondo, le montagne innevate.

Scendendo a valle, lungo i canali che gorgogliano nel traffico, si giunge al parco della Cattedrale dell’Ascensione. All’interno del parco si trova un trittico di opere imponenti, del genere che non avevo fatto in tempo a vedere a Berlino, dedicate ai caduti sovietici nel 1917–1920 (ehm…) e nel 1941–1945 (OK). Accanto c’è una statua ai soldati almatini caduti in Afghanistan negli anni Ottanta, il cui sacrificio – si legge sulla lapide – ha permesso alle loro nipotine di godere della libertà di filmare i balletti per TikTok sotto la statua stessa. Come a Gerusalemme, a Belgrado e a Costanza, anche ad Almaty la cattedrale (russo-)ortodossa ospita fedeli callipigie impegnate a baciare le icone. Qualcuno dica due paroline a Jorge Bergoglio perché cambi all’uopo la liturgia cattolica.

Facciata di una chiesa, decorata con multipli frontoni e altri elementi estetici in sovrappiú.

Il Kök Bazaar (“mercato verde”) è un mercato coperto che vale il Mercato Orientale di Brignole: il naso si riempie di odori e gli occhi di colori e la bocca di baursaki appena fritti. Non vado matto per le pietanze locali a base di carne, ma sui prodotti da forno io e i Kazaki ci intendiamo. Non per caso la Moschea Centrale si trova nei paraggi. Non mi azzardo a varcare la soglia e disturbare gli uomini in preghiera e sottomissione, chi piú chi meno vicino al mihrab i cui colori sono i medesimi della bandiera nazionale. Alle donne è riservato un ingresso secondario, perché Maometto e i suoi seguaci già conoscevano il potere distraente delle fedeli callipigie. Intorno alla moschea, i mendicanti accettano l’elemosina anche via codice QR. Allah veste la “L” e gli va giusta.

Facciata di una moschea con tre minareti visibili, con motivi decorativi ed elaborate iscrizioni in arabo.

Il resto è – scusami, Saltanat – il cosplaying di una metropoli occidentale senza una propria identità.
Il centro è una sequenza di bar e negozi, perlopiú catene, in tutto identici ad altri che si possono trovare ovunque. I corsi d’acqua che fluiscono lungo le strade alberate sono il suo segno distintivo, la connessione della città al suo ambiente naturale. Ma non mi sono levato l’impressione che la città stia tentando di modellarsi secondo uno stile di vita straniero, soltanto perché quello stile di vita appare ricco.
Quel che tiene viva Almaty è forse la ricca presenza studentesca (cfr. Brno). A ogni angolo, il visitatore che trovi piacere nelle figure femminili con zigomi alti e ampi, gli occhi a fessura, e quella che in piemontese viena detta buchéla, be’, quel visitatore sarà a ogni angolo soddisfatto. Ahimè, non questo visitatore.

Scritta nella fermata della metropolitana: «Байқоңыр бекеті».

«Ladies, guess where I am?»