Blog › 2022
Suoni e ultrasuoni del 2022 ·
E come l’anno scorso, e come l’anno prima, la colonna sonora del 2022 è stata gentilmente offerta dai canali alternativi delle radio pubbliche britannica e slovacca. Come d’abitudine, ho scaricato numerosi dischi che non mi sono poi curato di ascoltare; mentre scrivo c’è una dozzina di file .rar
, parcheggiata sul desktop, che attende da settimane di essere importata in Clementine Strawberry.
Gli album che ho acquistato sono quasi tutti ex-irreperibili del passato:
- Courtney Barnett – Things Take Time, Take Time (2021, Marathon Artists)
- Dubstar – One (2018, Northern Writes)
- Dubstar – Two (2022, Northern Writes)
- Katarzia – N5 (2021, Slnko Records)
- Lanterns on the Lake – Spook the Herd (2020, Bella Union)
- Erica Mou – Nature (2021, Maremadre)
Sono andato a un solo concerto, bucandone altri con la scusa del timore di beccarmi la COVID-19 prima di un viaggio all’estero:
- Obligatne + Caramel @ Alterna, Brno, 09/06/2022
E non ho una canzone dell’anno.
In un commentatissimo articolo pubblicato in estate dal Guardian, il giornalista freelance Daniel Dylan Wray si chiedeva perché i trentenni perdono interesse nella musica. Wray citava un qualche studio del 2015 secondo cui le persone smettono di ascoltare nuova musica a 33 anni. Quello studio l’ho trovato, e in realtà rivela altre cose, e piú interessanti, come la differenza fra femmine e maschi nello sviluppo del gusto.
Curiosamente nel 2015 andavo proprio per i 33: è l’anno del concerto che piú mi ha emozionato, ed è il piú recente per cui posso fare una lista (molto breve) di dischi preferiti: l’esordio di Courtney Barnett, l’ultimo dei Blur, Short Movie di Laura Marling. Da allora non ho mai smesso di ascoltare nuova musica: ho uno streaming aperto con le succitate radio un paio d’ore ogni giorno. Il problema è che la nuova musica, anche quando mi piace, e accade sempre piú raramente, mi entusiasma assai meno di un tempo.
Fra tre giorni ne compio 40, e l’ultimo album che ho acquistato da thirty-something è una raccolta di un gruppo da boomers:
- The Style Council – Long Hot Summers: The Story of The Style Council (2020, Polydor)
E questo è tutto quello che so sulla vecchiaia.
Letture e riletture del 2022 ·
Anche quest’anno ho faticosamente raggiunto la soglia per essere considerato un “lettore forte” dall’Istituto nazionale (italiano) di statistica. Ho letto e riletto (e scritto Virtualia?) molto di piú nel primo semestre; nel secondo, un singolo libro è rimasto a lungo sul mio comodino.
- Christopher Isherwood – A Single Man (1964)
- Jennifer Keishin Armstrong – Seinfeldia (2016)
Comparso nella mia cassetta della lettere poco prima del Natale scorso – ďakujem – è una storia orale di Seinfeld secondo gli autori. - Tabitha Lasley – Lo stato del mare (2021)
Avevo letto di questo… – come definirlo, romanzo di non-fiction? – in un’entusiasta recensione sull’Observer. È il racconto del tentativo fallito di una giornalista inglese di scrivere un saggio sugli uomini che lavorano sulle piattaforme petrolifere al largo delle coste scozzesi. Ed è un meta-fallimento, perché non approfondisce il tema delle difficili condizioni in cui essi operano, né la storia sentimental-sessuale fra l’autrice e il primo operaio che incontra, al centro della narrazione, è di un minimo interesse; e la scrittura è sciatta. - Altan – L’arte di Altan (2003)
Conoscevo Altan per la Pimpa, per Cipputi e per le vignette satiriche. Luca mi ha prestato questo volume che raccogliesue graphic novelsuoi fumetti degli anni ‘70 e ‘80, densissimi di segni e ferocemente nichilisti. Se incontrassi l’autore, gli chiederei se disprezzava il padre. - Susanna Clarke – Piranesi (2020)
Valentina, devo rassegnarmi ad accettare che sei il mio personalissimo reverse benchmark: non tanto per la qualità di quel che leggi – questo romanzo è scritto molto bene – ma per un certo tuo gusto; il realismo magico davvero non fa per me. - Lara Hogan – Resilient Management (2019)
Un’utile rilettura sull’autobus che il giovedí mattina mi porta in ufficio. - Primo Levi – La chiave a stella (1978)
- John Kennedy Toole – A Confederacy of Dunces (1980)
- Fëdor Dostoevskij – I demoni (1871)
Dalla libreria della mia defunta vicina di casa, nella traduzione del Küfferle. Ho intuito l’origine e il senso di quel nazionalismo religioso che è fra le cause, o fra i pretesti, dell’imperialismo russo che è tuttora all’opera in Ucraína. Kirillov personaggio sempiterno. - Guido Ceronetti – La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria (2000)
- Tabitha Lasley – Lo stato del mare (2021)
Una rapida rilettura in preparazione a una serie di post. In una realtà parallela, fra i lavoratori intervistati c’è anche il sottoscritto. - Franz Kafka – Diari 1910–1923 (1949)
Acquistati l’estate scorsa a Genova, alle bancarelle davanti a Disco Club: secondo il venditore, due volumi ormai introvabili – ed è vero! A scuola Kafka risulterebbe piú simpatico se si studiasse che era un ipocondriaco no vax, seguace delle mode alimentari del suo tempo, interessato al naturismo e alle pseudoscienze, e perennemente arrapato. Quando non dettagliava le fattezze delle donne che incontrava, il buon Franz andava a puttane con l’amico Max Brod; ma sempre con l’animo dello scrittore.Dovrei scrivere tutta la notte, tante sono le cose che mi si affollano nella mente, ma sono tutte impure.
- Václav Havel – The Power of the Powerless (1978)
Saggio sul civismo come resistenza privata ai totalitarismi. Strano che non sia stato saccheggiato dai “Bastian Contrari” contemporanei anti-establishment. Vi si legge anche un’attualissima critica alla spettacolarizzazione dei “dissidenti” da parte della stampa occidentale.
Sopa de letras y mariscos ·
In aereo: il New York Times cartaceo con un articolo sul Metaverso di Mark Suckerberg; e Licorice Pizza, Mystic Pizza, Monsoon Wedding.
Non è stato un “grosso grasso matrimonio messicano”, ma una celebrazione molto composta, nell’ambito della media borghesia della capitale. Carolina e sposo hanno affittato due sale del Gran Hotel, un edificio storico in stile Art Nouveau in un angolo di Plaza de la Constitución, che ha visto giorni migliori e dove andrebbe potenziata l’aria condizionata. Le loro famiglie hanno fatto molto perché non mi sentissi un estraneo.
– Yo espero que vuestra vida juntos sera plena de pan e nus.
All’atterraggio mi attendeva un taxi gratuito offerto da Booking.com, ma ho consumato il credito telefonico su due diverse schede per capire dove l’autistico fosse. «This is a dangerous place», ha detto parcheggiando presso il mio albergo al limite meridionale del Centro Histórico. Alla reception il proprietario non parlava inglese, come del resto il gentile personale di servizio, né le varie persone che ho incontrato nei miei vagabondaggi, cosí per una settimana mi sono divertito a fingere di saper parlare spagnolo. Sono arrivato la sera del Día de los Muertos: in ogni angolo della città era stato elevato un altare detto ofrenda con candele, teschi, e cempazuchitles dal vivissimo color arancione.
La prima mattina sono uscito a perdermi per le strade del centro, fra mercati rionali di paccottiglia e semafori facoltativi. Senza farlo apposta sono finito… dietro il ricco hotel dove avevo soggiornato ad aprile. Qui è un po’ nascosto il Museo de Arte Popular, un’esposizione permanente di artigianato messicano dalle terrecotte agli argenti, dai legni intarsiati ai vimini intrecciati, dalle maschere del Diavolo agli ex voto religiosi. I negozi del centro sono raggruppati per categoria merceologica: in un viale, tutti gli atelier di abiti da sposa; in un altro, tutte le gioiellerie; in un isolato, tutti i rivenditori di luci per la casa; altrove, tutti i commercianti d’infissi; etc. Rigido piano regolatore o libero sviluppo storico?
La seconda mattina sono uscito a cercare un basso caseggiato rosso che avevo ammirato dal finestrino del fuoristrada aziendale: la Ciudadela, che oggi ospita la Biblioteca de México e il Centro de la Imagen. Quest’ultimo espone mostre fotografiche dal taglio femminista e woke – con tutte le loro brave “x” in luogo delle declinazioni di genere – in collaborazione con istituti d’arte cileni: notevoli una galleria sul travestitismo negli anni della dittatura, e una personale di Eugenia Vargas-Pereira. Accanto alla Ciudadela, il turistico Mercado de Artesanías non si eleva di molto sopra ai mercati rionali di paccottiglia, ma qualcosa di autentico lo si trova.
La terza mattina ho indossato la famigerata divisa verde “Rinascimento” della Nazionale, acquistata pezzotta al mercato rionale di paccottiglia davanti all’albergo, e sono uscito in metro verso il tempio del calcio latinoamericano: l’Estadio Azteca. Fuori: un mostro di cemento che evoca Italia ‘90. Dentro: el partido del siglo, la mano de Dios, el barrilete cósmico. Io: unico europeo in mezzo a un manipolo di tifosi costaricensi. Saúl, guida appassionata e informata, mi ha corretto e ricordato che il record del mondo di Pietro Mennea sui 200 metri piani avvenne invece all’Estadio Olímpico Universitario.
Il quarto giorno ho passeggiato con Jessica e marito nel Bosque de Chapultepec, il Central Park di Ciudad de México, un po’ parco naturale dove respirare aria pulita, un po’ parco divertimenti dove fare bordello. Ospita due ex-residenze presidenziali: Los Pinos, una sorta di locale Casa Bianca; e il Castillo de Chapultepec, una magnifica costruzione sul cocuzzolo della collina, effimera dimora di Massimiliano d’Asburgo. All’interno del castello, un’esposizione temporanea in stile Funko Pop ricorda il sacrificio fra mito e realtà dei niños héroes; assai interessanti, e un poco fuori dal tempo, sono i murales socialisti che ritraggono episodi salienti della storia nazionale.
Il quinto giorno ho giocato al fotografo giapponese in un tour guidato al complesso archeologico di Tlatelolco, alle piramidi di Teotihuacán, e al Santuario della Vergine di Guadalupe. Le piramidi a gradoni di Teotihuacán sorgono in una brulla valle dove i cactus dominano e i serpenti attraversano in fretta le stradine di ciottoli. Nella Calzada de los Muertos un quartetto di bambini, con i loro gilet gialli e tesserini governativi, mi ha fermato per un sondaggio in inglese sulla mia permanenza in Messico, cui ho dato risposte bonarie e casuali; quello con i primi baffetti si chiamava Maximiliano. Su Nostra Signora di Guadalupe, mia sola opinione è che Juan de Zumárraga e Luciano Pérez Carpio tenían razón.
Il sesto giorno sono andato un’ultima volta a zonzo per il Centro Histórico, avendo premura di sostare in baños limpios o sanitarios públicos perché Montezuma aveva colpito. Il percorso all’interno del Museo de la Tortura comincia con materiale buffo e cresce d’intensità, strumento dopo strumento, a funzione non d’intrattenimento ma educativa, seguendo le crudeli storie dell’Inquisizione ed europea fino all’Illuminismo. Allora come oggi, una particolare attenzione era rivolta alla repressione della sessualità femminile. E mi è dispiaciuto constatare che almeno la metà degli artefatti esposti proviene dall’Italia. ¡Nunca más!
C’è una scena di Lost in Translation in cui Bill Murray è in ascensore insieme a una decina di uomini giapponesi, e Sofia Coppola lo inquadra svettante di una testa sopra tutti. Una mattina, nel mezzo della folla sciamante per il Mercado San Lucas, mi sono sorpreso di essere il piú alto nella piazza. Al contrario, al matrimonio ero fra gli ospiti piú bassi: questione di classi sociali?
Ad aprile scrivevo che Jess, prima di tornare a casa, aveva chiesto a Caro di controllare che l’autista dell’Uber prendesse la direzione giusta.
È esattamente la versione dei fatti che una coppia di amici di Ariadna Fernanda López ha dato alla polizia quando il suo corpo è stato trovato: la ragazza era salita su un Uber verso casa, e l’autista era andato nella direzione opposta. Nei pochi giorni della mia vacanza in Messico, Ariadna è diventata l’ultimo simbolo della violenza sulle donne, e della corruzione della polizia che aveva provato a insabbiarne il feminicidio. Poco prima che me ne andassi, le autorità politiche e giudiziarie della capitale hanno scavalcato la polizia locale e hanno pubblicato immagini che sconfessano le indagini e che incriminano del delitto proprio la coppia di amici.
L’amica complice dell’assassinio di Ariadna viene da Ecatepec de Morelos, un sobborgo violento di CDMX da un milione e mezzo di abitanti, sulla strada per Teotihuacán, dove ogni giorno in media vengono uccise due donne. In tutto il Paese vengono uccise dieci donne al giorno, e molte altre scompaiono. Davanti al Palacio de Bellas Artes le ricordano un’installazione e un mercatino, tracce di un movimento femminista che si sta prendendo pezzi della città. Beninteso, sempre nei confini del Centro Histórico.
Spero tanto che la nonnina dietro la Catedral Metropolitana non fosse allergica ai camarones.
Aqua profunda! ·
Nell’autunno di due lustri fa ero disoccupato avevo molto tempo a disposizione.
Via AlmaLaurea inviai il mio curriculum a una multinazionale italiana del settore Oil & Gas (non quella) che aveva molte posizioni aperte come mud loggers, ovvero tecnici di laboratorio in siti di estrazione di fonti energetiche fossili. Qualche giorno dopo ricevetti una telefonata da Amsterdam: un’impiegata dell’ufficio del personale una corporate recruiter italiana mi fece un pre-screening in inglese, e al termine m’invitò a un colloquio da tenersi il seguente lunedí pomeriggio in un hotel del centro di Milano. Come attività preliminare dovevo studiare un manuale d’istruzioni di duecento pagine (con piú figure che testo) inviato via e-mail. Trascorsi il fine settimana a leggere come funzionano le apparecchiature elettroniche e meccaniche usate sulle piattaforme.
L’azienda aveva affittato una stanza al piano sotterraneo dell’hotel. In corridoio sedeva una decina di miei coetanei, tutti maschi, tutti laureati o diplomati in discipline tecniche, tutti disoccupati con molto tempo a disposizione; qualcuno “teneva famiglia”; c’era fiducia che molti di noi sarebbero stati assunti.
Fui chiamato dentro per penultimo: nella stanza sedevano un alto dirigente e un ingegnere-capo, entrambi affabili, e la medesima recruiter con cui avevo parlato al telefono. Non ricordo i dettagli, ma fu uno dei miei migliori colloqui: avevo un profilo conforme alle posizioni aperte, ero preparato, ero seriamente convinto di voler lavorare per dodici ore consecutive in turni di sei settimane su una piattaforma di estrazione. L’azienda sembrava – è – ottima, il contratto era interessante, lo stipendio iniziale era meglio di niente.
Verso la fine, il dirigente mi chiese se avrei preferito lavorare su una piattaforma di mare o di terra: risposi che avrei preferito lavorare a terra. (Ovviamente avrei dovuto rispondere che ero pronto a ogni condizione ambientale, ma del senno di poi…) Aggiunsi che, ahahah, da bambino sono andato a lezione ma non ho mai imparato a nuotare.
La recruiter sbroccò:
– Lei ha un rifiuto psicologico nei confronti dell’acqua!
Replicai che no, faccio una doccia ogni mattina.
Il dirigente la zittí, mi spiegò che per ottenere la licenza a lavorare sulle piattaforme petrolifere è necessario superare delle prove di nuoto, e mi suggerí d’imparare e di contattarli nuovamente. Lo ringraziai, e suggerii loro d’indicare il nuoto fra i requisiti necessari alla candidatura.
Non fu la mia esperienza piú lollosa di quell’autunno con l’imprenditoria italiana.
Né fu l’ultima volta che ebbi a che fare con lavoratori del settore, ne scriverò presto.
E no, non ho ancora imparato a nuotare.
- Basic Offshore Safety Induction and Emergency Training ~ndMassi. ↩
Pensieri del jet-lag ·
Uno stile di vita autenticamente buddista non è compatibile con una società capitalista.
Uno stile di vita autenticamente stoico non è compatibile con una società capitalista.
(Uno stile di vita autenticamente cristiano non è compatibile con una società capitalista?)
Ritratto di Ron DeSantis, 47° o 48° presidente degli Stati Uniti (non è un auspicio):
Statunitensi, 335 milioni. Canadesi, 40. Britannici, 65. Europei, 450. Australiani, 25. Neozelandesi, 5. Giapponesi, 125. All’incirca un miliardo di persone su otto che abitano la Terra, e abbatteremo le nostre emissioni di CO2 nell’atmosfera perché è cosa buona e giusta.
Attendo con impazienza il giorno in cui chiederemo ai 20 milioni di abitanti di Città del Messico di cambiare i loro veicoli con equivalenti Euro 6 per circolare, o con auto elettriche, e agli abitanti di Ecatepec de Morelos di accantonare il loro sogno di un maxi-televisore del cazzo, in nome della salvezza del pianeta.
Fratelli di Boemia ·
Nell’anniversario dello storico evento che tanta gioia e letizia recò al mondo – l’indipendenza della Cecoslovacchia, cos’altro? – mi permetto di pubblicare la traduzione di un articolo apparso sul settimanale Respekt la scorsa primavera. Il titolo originale è Vero eretico, Pravý kacíř, la firma è di Kateřina Mázdrová, e dovrebbe trattarsi di un estratto dal libro Duce a kacíř del teologo ceco Pavel Helan, sulla fascinazione che in gioventú Benito Mussolini ebbe per l’eretico Jan Hus. E in seguito, quando Mussolini diventò Duce, i due padri della patria cecoslovacca, Tomáš Masaryk ed Edvard Beneš, gli mostrarono una certa imbarazzante simpatia.
Buona lettura! Přeju vám příjemné čtení!
La materializzazione del sogno di Mussolini di una “grande Italia” fu la “decorazione” del monumento nazionale a Vittorio Emanuele II con simboli fascisti, o il quartiere dell’EUR [1] in funzione di set cinematografico, che avrebbe dovuto competere con gli edifici degli imperatori romani. La sua epoca, dalla salita al potere nel 1922 fino alla morte nell’aprile 1945, quando fu fucilato e insieme alla sua amante e ad altri fascisti finí appeso a testa in giú a una stazione di servizio a Milano, è mappata in dettaglio. Però per lungo tempo è rimasto uno spazio vuoto riguardo il suo rapporto con le terre ceche e la sua ammirazione nei confronti del «meno conosciuto degli eretici al di là delle Alpi», il maestro Jan Hus. Un rapporto che indica per quale percorso ideologico quest’uomo è transitato nel cammino verso il potere e la megalomania, che si sono riflessi anche nei già citati edifici.
Un analogo apprezzamento uno dei piú grandi dittatori del 20° secolo lo ebbe anche per i legionari cechi [2]. «I Boemi, e sotto questa generale designazione includiamo coloro che vengono dalla Boemia, dalla Moravia, dalla Slesia, dalla Slovacchia, sono forse i migliori soldati al mondo […]. Questa nazione guerriera ha ancora le qualità dei tempi di Hus […]. Finché non ottiene la libertà, non depone le armi […]. Niente e nessuno può fermare i figli della Boemia. Reclamano il loro posto ovunque si combatte per la giustizia e per la libertà […].» annotava nel 1918. Questi legami e anche il sostegno alle richieste cecoslovacche di autodeterminazione furono infine debitamente premiati: Tomáš G. Masaryk nel 1926 insigní Mussolini dell’Ordine del Leone Bianco.
Mussolini fu in gioventú un convinto socialista radicale, fatto da mettere in relazione anche con una feroce critica della chiesa cattolica. Con molta probabilità da qui viene la sua simpatia per Hus, che portò l’allora trentenne giornalista a scrivere il libro Giovanni Hus il Veridico [3]. L’esile volume di 124 pagine fu pubblicato dalla casa editrice romana Podrecca e Galantara il 30 maggio 1913. Dopotutto che Mussolini s’identificava con Hus lo testimonia lo pseudonimo che usò in calce ai suoi articoli e testi: Vero eretico.
Ma da dove esattamente scaturí l’ammirazione del futuro dittatore fascista per Hus, non lo sappiamo. Come uno degli ipotetici promotori di questa ammirazione è menzionato Jaroslav Hašek. Come scrive Břetislav Ludvík nel suo libro del 1946 Kdo je Jaroslav Hašek [4], è possibile che, quando nel 1909 il futuro autore del Bravo soldato Švejk [5] risiedette a Trento in Italia, là si trovasse anche Mussolini. Si racconta che Hašek s’incontrasse con gli amici in una vineria dove andavano anche emigrati italiani, e si dice che uno di quelli che molto s’interessavano alle storie ceche, in particolare a quella hussita, volesse scriverne qualcosa. Si dice che Hašek fu lieto di fornirgli fonti e materiale.
Ed ecco, dopo qualche tempo fu pubblicato uno scritto in italiano su Jan Hus, il cui autore non era altri che Mussolini. In seguito tuttavia egli cessò di dedicarsi alle sue fatiche letterarie, incluso questo libro, perché nel cammino verso la sua ascesa al potere aveva bisogno di una chiesa cattolica forte. E già al tempo in cui diventò alleato di Hitler, l’ammirazione per gli Slavi si era completamente dissolta, perché in lui circolava «il vero sangue ariano».
- Esposizione Universale Roma ~ndMassi. ↩
- Segnalo gli atti del convegno storico “La Legione ceco-slovacca in Italia e la Grande Guerra”, Roma 2016 ~ndMassi. ↩
- Il titolo corretto è Giovanni Huss il Veridico, con due “s” ~ndMassi. ↩
- “Chi è Jaroslav Hašek” ~ndMassi. ↩
- Il bravo soldato Švejk · 09/12/2020 ~ndMassi. ↩
Internet explorer #23 ·
- Daniele Rielli › La tribù online.
- Domani › Parlare woke: come la lingua accoglie le lotte per i diritti, di Raffaele Alberto Ventura.
- Common Sense › The Origins of Woke, by Phoebe Maltz Bovy.
- Quillette › Prepare for Turbulence, by John Lloyd.
- Variety › William Shatner: My Trip to Space Filled Me With ‘Overwhelming Sadness’.
- The Guardian › Arrives late, pours your wine and eats onions – 56 dating red flags that should send you running, by Justin Myers.
- Zerocalcare › Quasi tutto ciò che c’è da sapere sull’informazione.
Passeggiate malinconiche ·
Na loukách k Jundrovu se obzor zvolna stírá
a v hájích za řekou, kde najdeš rozrazil,
den ztrácí obrysy, pták letí, jak by pil
doušky svých linií lahodný pramen šera.
Sui campi verso Jundrov l’orizzonte lentamente si dissolve
e nei boschetti di là del fiume, dove trovi la veronica,
il giorno perde i contorni, l’uccello vola, come se bevesse
a sorsate con le sue traiettorie la deliziosa fonte del crepuscolo.
Zde jsem rád na podzim. Odevšad vane dým,
ty vůně prostoty!, dým z bramborových natí.
Proč ale, bože můj, když já jej ucítím,
když já jej ucítím, chce se mi zaplakati.
Qui sono felice in autunno. Da ogni parte si alza il vapore,
quei buoni odori di semplicità!, il vapore dai germogli delle patate.
Ma perché, mio Dio, quando io ne ho sentore,
quando io ne ho sentore, mi viene voglia di piangere.
[Ultima revisione: / Poslední revize: .]
Saluti da Královec ·
Mercoledí scorso – San Venceslao! – un profilo umoristico (?) polacco ha pubblicato su Twitter una cartina dell’exclave russa di Kaliningrad, o Königsberg, insomma la vecchia Prussia Orientale, spartita fra Cechia e Polacchia.
Il giorno dopo il tweet è stato rilanciato da un europarlamentare democristiano ceco, che a sua volta è stato citato da una testata russa.
Königsberg (tedesco per “Montagna del Re”) fu fondata ottocento anni fa e chiamata cosí in onore del re boemo Ottocaro II, un pezzo grosso del Sacro Romano Impero. La città è passata di mano piú volte nel corso della Storia, ma ovviamente non è mai stata boema, anche se in ceco ha un nome storico ed è Královec. Siamo però nei giorni dei referendum farlocchi per l’annessione di regioni ucraíne alla Russia, e un qualche buontempone ha pensato di farci sopra dell’umorismo. Si sono scatenati i mematori!
Dopo il positivo referendum in cui il 97,9% dei residenti di Kaliningrad ha deciso di unirsi alla Repubblica Ceca e ridenominare Kaliningrad in Královec
sono stati aperti un profilo “ufficiale” e un sito Internet d’informazione turistica. Anche aziende e istituzioni hanno pubblicato qualcosa di umoristico: il comune di Brno, avendo perso lo stato di seconda città piú popolosa del Paese, ha “regalato” a Kaliningrad Královec il suo famigerato orologio astronomico.
L’assurdità dell’annessione di Kaliningrad, e l’implausibilità per la Cechia di ottenere uno sbocco sul mare, trascendono dal piano del reale a quello della satira politica: tanto è insensata una Královec ceca, quanto sono insensati in questi termini una Crimea e un Donbas russi.
È stata aperta una raccolta fondi a tema Královec, a favore dell’ambasciata ucraína a Praga per l’acquisto di materiale militare con il benestare del ministero ceco della Difesa. In cambio di una donazione si riceve una tazza, un cappellino con la scritta “Make Královec Czech Again”, o una maglietta. Come bisogna fare propaganda al tempo dell’attivismo da tastiera e del LOL: i fascisti vanno trollati.
Ex voto ·
Passata la festa, (non) gabbato lo santo: mercoledí sono andato con Betsy ad accendere il cero a San Venceslao per la chiusura dei lavori.
La chiesa omonima, ortodossa, era gremita di fedeli orientali, in un’atmosfera da canzone di Franco Battiato. Non siamo entrati a disturbare, ho lasciato il lume accanto al crocifisso nel giardino, sotto lo sguardo di un omone attento a controllare che non piazzassi una bomba.
Lo scorso fine settimana non ho partecipato a due elezioni.
Alle amministrative ceche non avrei potuto partecipare perché ero oltreoceano, ma pensavo di astenermi perché non informato a sufficienza, non avevo neppure fatto domanda d’iscrizione all’elenco dei votanti. A sorpresa ho ricevuto il bustone con le schede nella cassetta della posta, probabilmente perché mi ero già iscritto per le elezioni europee del 2019; ma non erano due registri diversi?
A Jundrov i Verdi hanno vinto ancora, nonostante il mancato controllo del conto corrente da cui la contabile ha rubato otto milioni di corone.
In municipio a Brno la sindaca uscente guiderà una grande coalizione di centrodestra, le trattative sono in corso.
Il bustone con le schede per le legislative italiane l’ho ricevuto il giorno prima di partire.
Il mio diritto di voto è regolato da una legge voluta vent’anni fa da un camerata di Jiřina Angurioni per rastrellare le preferenze degli emigrati considerati nostalgici. Va da sé che dalla promulgazione della legge a oggi la composizione degli Italiani all’estero è molto cambiata.
Quello che dovrebbe essere il mio partito di riferimento, e che non voto dalle comunali del 2012, nella circoscrizione Europa ha candidato una nota “virostar” per il Senato, un paio di parlamentari uscenti e un paio di scarti per la Camera. La virostar insegna a Londra, ma l’impressione è che sia stata candidata per la fama acquisita in televisione; oltretutto cosí è passato il messaggio che la scienza e le misure anti-coronavirus siano prerogativa di una sola parte politica. Dei parlamentari uscenti ne ricordo una che si era prodigata per ottenere un condono fiscale per quegli emigrati non iscritti all’AIRE che si erano – ehm – dimenticati di dover pagare le tasse in Italia.
Al di là dei candidati, il programma elettorale di quello che dovrebbe essere il mio partito di riferimento era riassumibile in «o votate per noi, o vincono i cattivi». Avrei avuto tutto il tempo per tracciare le mie due croci e per rispedire il plico al Consolato a Praga, ma non l’ho fatto.
Non ho votato.
«Hai fatto vincere i fascisti!», diranno i miei 2,5 lettori. Be’, si sono svolte elezioni democratiche e i fascisti hanno preso piú suffragi (l’ironia), come già nel 2018, 2008, 2001, 1994. All’università conobbi un futuro fondatore di Fratelli d’Italia, ed è un tizio che – scusate il linguaggio – non saprebbe trovarsi il culo con le mani. Jiřina Angurioni sta costruendo una classe dirigente che non sarà dissimile da quella che da sempre governa il Paese, fatta di corrotti, furbi, ignoranti, magnaccia, truffatori, e tanti tanti tanti ‘ndranghetisti. Quanto a Lei, è l’ennesima cazzara.
«E ai diritti delle donne non pensi?» La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è già oggi largamente inapplicata, e alla richiesta dei Radicali di fornire i dati sugli obiettori di coscienza l’attuale ministro della Salute, il piú a sinistra che io ricordi, risponde da mesi col silenzio.
«E alla vita delle minoranze non pensi?» La prima versione del programma di quello che dovrebbe essere il mio partito di riferimento parlava di agenda
e di percorso per arrivare
, come se sedicenti progressisti dovessero ancora discutere di certi argomenti. Eh, poi i cattolici…
«E alle condizioni dei lavoratori non pensi?» Lunedí leggevo assonnato l’andamento dello scrutinio e le dichiarazioni dei politici alessandrini. Il segretario provinciale di quello che dovrebbe essere il mio partito di riferimento, con la scrittina always antifascist
sotto la foto profilo, cominciava un breve commento sulla strategia elettorale con I miei due cents a caldo
. “Always antifascist”, “due cents”: dev’essere abituato a rivolgersi alla platea di operai poliglotti dell’Ilva; stranamente quegl’ingrati votano tutti a destra.
A ‘sto giro ho scelto di non votare il male minore. Altri hanno fatto lo stesso. Ognuno ha le proprie ragioni. Non dico che non ce ne pentiremo.
Appunti da Lincolnshire, IL ·
Vado due settimane a Lincolnshire, Illinois, un sobborgo di Chicago. Il direttore di un progetto aziendale cui non dovevo neanche partecipare mi ha chiesto di recarmi in situ per accelerare le ultime pratiche. E io cosa potevo dirgli? Di no?
Se avrò tempo e voglia, ogni sera in albergo aggiornerò la homepage con qualche appunto di viaggio. Non prometto nulla.
Tornerò il giorno delle elezioni in Italia.
Ho fatto voto che se termineremo i lavori entro il 28 settembre andrò ad accendere un cero a San Venceslao nella chiesa omonima qui a Brno.
Nel weekend del 9/11 gli Americani devono aver chiesto agli Europei di intensificare i controlli, altrimenti non si spiega un caos come quello cui sono stati soggetti i passeggeri dei voli di stamattina da Vienna a Chicago, Toronto e Washington. Ai piú diligenti a presentarsi al gate, come il sottoscritto, in omaggio un secondo giro di raggi X. Vorrei dire due paroline al boarding process manager di Schwechat.
In aereo un best of Fontaines D.C. che mi ha confermato che non mi piacciono, Everything Everywhere All at Once, i Desert Island Discs di Alan Cumming, Verdens verste menneske che volevo vedere al cinema; e ben sette colleghi brunensi diretti a Lincolnshire, loro ignari di me e io di loro, che ho perso alla dogana.
In taxi dall’aeroporto ho percepito il preventivato gigantismo del trasporto privato su gomma: Jeep come utilitarie, statali a quattro corsie, assenza di marciapiede in aree urbane. A tal proposito alloggio in un albergo da commessi viaggiatori nella zona industriale, a un chilometro zero virgola sette miglia dalla sede aziendale: walking distance, tagliando per i campi da golf.
Per il primo pasto ammerigano sono andato al vicino McDonald’s: non vi mettevo piede da Ginevra 2004, avevo dimenticato come si ordina, ma il Big Mac me lo ricordavo bigger. La Coca-Cola “original taste” è piú buona. Qui anche le cicale suonano diversamente.
A colazione gli operai ispanici con i buchi nelle magliette puliscono educatamente il tavolo prima di alzarsi.
Il treno sulla Milwaukee District North Line trasporta i fan dei Bears alla partita contro i 49ers: sono le dieci di mattina ma è già beer o’ clock. Alla Chicago Union Station non trovo la scalinata degli Intoccabili.
“The Windy City” oggi è pure “The Rainy City”: piove con lo stravento, e la cima di molti grattacieli non è visibile per la foschia ad alta quota. Il lago Michigan è in tempesta, batte bandiera rossa, ma non ci si può non bagnare con entusiasmo le scarpe e i piedi; si sarebbero inzuppati comunque nelle pozze agli incroci. Ombrello RIP.
Valentina mi scrive che dall’assenza di post m’immagina oberato. Be’, inizio alle sei del mattino con una chiamata al collega rimasto a Brno, scendo a prendere la colazione, sono in call fino a mezzogiorno, esco a prendere il pranzo, continuo fino alle sei della sera, ceno e poi crollo. Se è il chicchiricchí del telefono a svegliarmi alle cinque del mattino seguente, significa che ho dormito a lungo, e dormire è cosa buona.
E in sede? Non vado in sede da lunedí.
È cominciata con un fastidio alla gola, quand’ero seduto al computer insieme al direttore del progetto, al direttore dello sviluppo informatico, e al collega messicano con cui ero andato a Chicago e a cui avevo fatto da Instagram husband [1] nella Windy Rainy City. Indossavo una FFP2 perché l’informatico ci tiene, e maledivo l’aria condizionata a temperatura pinguina.
Alle quattro di martedí, con febbre e tosse, compravo online due test antigenici da consegnarsi in mattinata. All’alba chiamavo la reception, comunicavo di avere i sintomi della COVID-19, e potevano per favore lasciarmi un piatto di cibarie fuori dalla porta? Nella teleconferenza giornaliera avevo una voce dall’oltretomba. Alla fine me l’ero beccata, ma quando e dove? Il venerdí precedente, in ufficio a stampare i papiri dell’immigrazione? Sabato, in auto con conducente verso Vienna? All’aeroporto, nella calca dei controlli? In aereo, togliendo la mascherina per mangiare e bere? Primo test: negativo.
Già mercoledí mi sentivo molto meglio, ma continuavo a isolarmi in stanza. Il direttore del progetto cominciava anch’egli a sentire un fastidio alla gola. Secondo test: negativo. Compravo altri due antigenici, e un pacco di fazzolettini di carta made in Italy. Giovedí sudavo e scatarravo, scatarravo e sudavo. Terzo test: negativo. Venerdí mi svegliavo fresco, e nella teleconferenza giornaliera era il direttore del progetto ad avere una voce dall’oltretomba. Quarto test: negativo.
Non era il coronavirus: era una bronchite causata dalla pioggia torrenziale cadutami in testa domenica. Almeno credo. Ora è passata.
Downtown Chicago l’ho vista, questo fine settimana ho voluto mettere alla prova i miei pregiudizi sulla small-town America.
Il villaggio di Lincolnshire, IL è attraversato da due statali – la 21 (Milwaukee Avenue) da sud a nord, e la 22 (Half Day Road) da est a ovest – e da alcuni corsi d’acqua di cui il piú importante è il fiume Des Plaines, che curiosamente scorre parallelo al lago Michigan senza gettarvisi e fa invece parte del bacino del Mississippi. Non esiste un “centro” nel senso europeo del termine: il municipio guarda su un incrocio trafficato, i parchi si alternano agli shopping malls, lo sprawl suburbano si estende ai villaggi contigui. Sono uscito per perdermi, ci sono riuscito.
A due passi dall’albergo, un semaforo permette all’unico pedone circolante di attraversare Half Day Road in sicurezza. La biblioteca civica ha un drive-thru per il ritiro e la riconsegna dei libri. Piú avanti la chiesa evangelica coreana ricorda quella di Stars Hollow, CT.
In Milwaukee Avenue c’è un ristorante italiano, un vero ristorante italiano. I proprietari Antonella e Nunzio sono italo-americana e campano. Al sabato dietro la cassa c’è Elena, una giovane di Treviso. Il menu offre minestre e panini per pranzo, e paste e pizze per pranzo e per cena; e cannoli per dessert. Il forno è di mattoni, molti ingredienti sono importati. La cantina copre tutta l’Italia, un Dolcetto d’Alba viene via a $33. L’atmosfera è quella di un diner dove però suona Radio Italia – Solo Musica Italiana.
Oltre l’Indian Creek e l’isolato di Village Green (Preservation Society) passa il Des Plaines River Trail, un sentiero in ghiaia e terra lungo oltre cinquanta chilometri trenta miglia che segue il fiume lungo le riserve protette. Il novello esploratore può sentirsi salutare «Good morning!» da gioviali passanti di ogni età, a piedi o in bicicletta. In un laghetto poco distante, una famiglia di tartarughe dal dorso striato di rosso si tuffa in acqua al primo sospetto di pericolo.
A est del fiume sorge l’area residenziale, organizzata in crescents. Quasi tutto il villaggio è stato costruito dopo la seconda guerra mondiale, e la toponomastica evoca un legame con l’Inghilterra che non esiste: Oxford Drive, Cambridge Lane, Plymouth Court… [2] Il pedone casuale può seguire Lincolnshire Drive, dal termine presso Spring Lake Park alla rotonda su Elsinoor Drive, camminando in strada per evitare d’invadere terreni di proprietà e finire sparato. Cento case americane si susseguono, ognuna diversa dall’altra, perlopiú monopiano in legno e mattoni, ma anche di design moderno. Tutte, tutte, tutte circondate da un prato curatissimo e verdissimo. Tutte, tutte, tutte grandi, qualcuna enorme, con garage a due posti occupati, talvolta con un terzo o persino un quarto SUV sul vialetto. La bandierona a stelle e strisce impennata sopra un terzo di esse; e ancora due cartelli «Highland Park Strong», un segnale wi-fi «Trump 2020».
A ovest del fiume sorge il mega-hotel, con un campo da golf a diciotto buche e con l’unico teatro dell’area. There is no life outside the city
.
Metto da parte i popcorn per il giorno in cui agli abitanti di Lincolnshire Drive e dintorni verrà chiesto di «fare sacrifici» sul piano energetico.
Quando ero malato del coronavirus di Schrödinger, il direttore del progetto mi ha inviato una breve lista di siti dove ordinare da mangiare con consegna a domicilio: i ristoranti affiliati erano tutti, tutti, tutti, tutti, tutti, tutti, tutti fast food.
Di fronte al vero ristorante italiano c’è un posto dove cucinano soltanto colazioni, vi ho pranzato oggi. Il proprietario è un greco-americano dall’aspetto e dai modi untuosi, che con la sala vuota per metà mi ha fatto attendere che fosse pulito un tavolo singolo accanto alla cucina, con vista sulla cassiera biondina con piú giropetto che neuroni. Il piatto con meno zuccheri erano tacos con omelette e insalata, e riso di contorno. Il decaf era a damn fine cup of coffee
. Quando ho chiesto alla cameriera se avevano la cherry pie, mi ha risposto che non tengono dessert.
Secondo Tripadvisor, a Lincolnshire ci sono soltanto altri due ristoranti indipendenti: un sushi-bar e una birreria di Covid deniers; i restanti fanno parte di catene locali o globali. Al McDonald’s sono stato servito da un adolescente ai primi baffi. Da Chipotle (fast food messicano), dove abbiamo cenato nell’unica uscita fra colleghi prima del coronavirus di Schrödinger, sono stato servito da un adolescente ai primi baffi che veniva istruito da un’adolescente con piú brufoli che anni sulla patente. In entrambi i posti non ho incontrato lavoratori maggiorenni.
Secondo i CDC, il 42% degli adulti statunitensi è obeso, percentuale che sale al 50% fra gli afrodiscendenti. I minori obesi sono circa il 20%: stamattina in albergo una bambinetta ha fatto colazione con un bel bicchierone di Coca-Cola.
Ho nostalgia di svíčková na smetaně e di Starobrno.
Quando sono arrivato a Lincolnshire ho subito notato le bandiere a mezz’asta fuori dagli edifici pubblici: la biblioteca, la scuola elementare. Era il fine settimana del 9/11, pensavo fosse parte delle commemorazioni. Lunedí le bandiere erano ancora abbassate a metà pennone, e cosí tutta la settimana, e ancora il weekend successivo. Non capivo.
Stamattina le bandiere sventolavano altissime. E ho capito.
Questi scemi si sono messi a lutto per la morte di Elizabeth II.
Abbiamo terminato i lavori in perfetta corrispondenza con la tabella di marcia: un miracolo da accendere un cero a Svatý Václav.
Alla fine sono andato in sede, io forestiero, molto piú spesso dei colleghi locali. Ha avuto senso venire qui soltanto per trovarsi nel medesimo fuso orario, e potersi cosí chiarire i dubbi con chiamate veloci: se fossi andato a New Orleans o sull’Isola di Pasqua sarebbe stato uguale.
Di questo posto mi mancheranno gli sconosciuti che ricambiano il saluto, gli aeroplani in atterraggio all’ / in decollo dall’aeroporto di O’Hare, e gli orizzonti lontanissimi che permettono di vedere per miglia e miglia avvicinarsi i fronti di perturbazione.
Quadridosato ·
Ieri sono tornato al centro vaccinale per farmi fare la quarta “punturina” del “siero genico sperimentale”, ripieno di “cellule di feti abortiti” [1] e di “grafene” e di “metalli pesanti”, che “altera il DNA” e fa venire il sangue come “maionese nera”. Tutto questo per diminuire le probabilità di beccarmi il “virus cinese” nei miei prossimi viaggi oltreoceano. Sempre schierato con “Big Pharma” e con la “dittatura sanitaria”!
- Come in tutte le teorie del complotto c’è un fondo di verità completamente travisato. ↩
La convenzione Einaudi ·
(Questo post è dedicato a Chiara.)
I piú attenti fra i miei 2,5 lettori avranno notato che, nell’accentare le vocali “i” e “u”, io adopero l’accento acuto (´) in luogo del piú comune accento grave (`): è quella che chiamo “convenzione Einaudi”, perché Einaudi è l’unica casa editrice ad adottarla.
Semplificando, in italiano esistono cinque vocali: “a”, “e”, “i”, “o”, “u”. Esse però rappresentano sette suoni diversi: “a”, “e” aperta, “e” chiusa, “i”, “o” aperta, “o” chiusa, “u”. “A” è sempre aperta; “e”, “o” possono essere aperte o chiuse dove l’accento tonico cade (“pèsca” vs “pésca”, “bòtte” vs “bótte”), ma sono sempre chiuse dove l’accento tonico non cade; “i”, “u” sono sempre chiuse.
L’ortografia prescrive che l’accento grafico sia indicato soltanto sulla vocale finale: l’accento grave indica le vocali aperte (“città”, “cioè”), l’accento acuto indica le vocali chiuse (“né”, “perché”, “sé”, “trentatré”). Facoltativamente l’accento grafico si può usare su una vocale interna per chiarire un’ambiguità (“príncipi” vs “princípi”).
Ne consegue che parole che terminano con l’accento su “i” o “u” dovrebbero avere quello acuto: “í”, “ú” (“cosí”, “mezzodí”, “piú”, “rossoblú”). Io ed Einaudi seguiamo questa logica. Al contrario, per ragioni storiche, “i” e “u” sono piú spesso segnate con accento grave: “ì”, “ù”. Questa convenzione tradizionale è rafforzata ogni giorno dalla tecnologia – osservate la vostra tastiera!
Per approfondire, leggete il testo di Paolo Matteucci: Accento grafico su i e u: grave o acuto?.
Nella scuola italiana dell’obbligo la fonologia e la fonetica non s’insegnano; è un peccato, perché descrivono la ricchezza delle parlate regionali e sono utili per imparare le lingue straniere. In ceco, per esempio, l’accento tonico cade sempre sulla prima sillaba, e l’accento grafico descrive la lunghezza della vocale; da qui i contorsionismi mentali per leggere correttamente un testo. In inglese sento madrelingua di nazioni diverse applicare lo stress in posizioni diverse, per cui vado a senso anch’io («di-ˈstri-byü-tər»).
E tanti auguri a chi vuole introdurre lo /ə/ nell’alfabeto per evitare discriminazioni linguistiche…
Internet explorer #22 ·
- Radio Prague International › Czech Dog Breeds, by Ruth Fraňková, Klára Stejskalová and Anna Fodor.
- Quillette › Stop Sharing Political Memes, by Christopher J. Ferguson.
- Know Your Meme › NAFO / North Atlantic Fella Organization.
- The Guardian › Bring that beat back: why are people in their 30s giving up on music?, by Daniel Dylan Wray.
- Il Piccolo › Alessandria, Pfas nel sangue: gli esiti dei 50 volontari, di Monica Gasparini.
- Science › Taking the “F” out of forever chemicals, by Shira Joudan and Rylan J. Lundgren.
- Il Post › La vittoria di Meloni sarebbe una vittoria “per le donne”?, di Giulia Siviero.
- Bellingcat › Socialite, Widow, Jeweller, Spy: How a GRU Agent Charmed Her Way Into NATO Circles in Italy, by Christo Grozev.
- The History of the Web, by Jay Hoffmann.
Gita al faro ·
Motivazionale ·
Sticky navbar ·
I took the chance of the demise of Internet Explorer to make some more changes to the layout of my Virtualia?.
The most important changes are to the navigation bar: I moved it outside the header and I made it sticky, so that it always shows at the top of the page while browsing this website. The navbar is 3rem-high on desktop and 6rem-high on mobile (where the two halves slide one on top of the other), and it has a 1px bottom border to distinguish it visually from the main content. The navbar’s height is also taken into consideration when linking to content inside the page.
The trickiest feature to build was a drop-down menu where I hid the list of blog years, which activates when hovering on the word “Blog” with the mouse or when focusing on it with the keyboard. It is nested within the “Blog” list item for semantic purposes, and it is visually hinted to by a single guillemet (›) that points right when the menu is hidden and rotates down when the menu is visible. On devices that don’t support hovering (e.g. mobiles or tablets) the guillemet is not shown: this may be considered bad for user experience, but motivated readers can click on “Blog” and continue from there.
I swapped upwards arrows (↑) with upwards white arrows (⇧) at the foot of articles (they link to the top of the main content), and I reverted from right-pointing arrows (→) to single guillemets for page titles and external deep-linking (and for breadcrumbs, if I ever need them).
In the end I simplified the footer of the page: now it is centred, and it only displays the links to the W3C validators and to the CC licence, and the date of last update, with interpuncts as separators. The footer also has a 1px top border to distinguish it visually from the main content.
Rugani… l’ho scoperto io! ·
(Il titolo è da leggersi a imitazione di Pippo Baudo.)
Agosto 2012. La Juventus di Antonio Conte ha appena vinto il 30° scudetto sul campo, ma la FIGC si oppone all’apposizione della terza stella sulle divise. Sempre la FIGC squalifica Conte e il suo vice Angelo Alessio per alcuni mesi nel processo Scommessopoli; ovviamente entrambi saranno prosciolti dalla giustizia ordinaria. Lo stesso giorno Massimo Carrera batte il Napoli in Supercoppa. Nella sessione di calciomercato che va a concludersi, Beppe Marotta ha pescato dal Manchester United un giovane lungagnone francese di nome Paul Pogba.
Sui giornali locali leggo che lo stadio Giuseppe Moccagatta di Alessandria è stato scelto dalla Juventus come sede delle partite della Primavera nella NextGen Series. NextGen Series è un torneo a inviti per squadre di club Under-19, e non è organizzato né riconosciuto dall’UEFA; ma poiché la prima edizione è stata vinta dall’Inter di Andrea Stramaccioni, la stampa italiana l’ha ribattezzato “Champions League dei giovani”. Effettivamente l’anno successivo l’UEFA copierà l’idea, istituendo la Youth League.
A quei tempi le mie fonti d’intrattenimento partigiano erano varie: Juventibus di Antonio Corsa, Luca Momblano e Massimo Zampini (allora il sito di riferimento per un tifo ragionato, oggi un becero coacervo di casi umani); Ju29ro (su “Farsopoli”); e, in inglese, JuventiKnows.
JuventiKnows (oggi defunto) era stato fondato da un collettivo di tifosi nordamericani ed europei. Vi si leggevano dai commenti alle partite, con una prospettiva internazionale, alle ricette a tema bianconero, e il tono era insieme rigoroso e scanzonato. I contributi dei lettori erano ben accetti, purché fossero inediti, interessanti e rilevanti. Io non avevo di meglio da fare, perciò dopo il primo incontro di NextGen Series della Juventus al Moccagatta scrissi un post di cronaca, come l’avrei scritto per un mio blog, e lo inviai alla redazione.
La mia collaborazione con JuventiKnows durò cinque partite e cinque articoli, da quell’agosto al giugno successivo. I miei contributi venivano sottoposti a un editing per allinearli allo stile della testata, e talvolta mi veniva corretta (incorrettamente) anche l’ortografia di parole italiane. Chiesi di firmarmi “Massimiliano F.” perché non mi piace lasciare tracce di me stesso dove non ne ho il controllo. In calce ai miei post ottenni qualche commento divertito; qualcuno chiese scherzando se fossi Massimiliano Allegri (allora sulla panchina del Milan).
Mi permetto di ripubblicare qui sotto i miei cinque contributi; devo recuperarli dall’Internet Archive, perché il dominio JuventiKnows.com è in mano ai domain squatters e non ho conservato i testi originali. Mi permetto altresí di sottoporre quei post a un contro-editing, per ripulirli dai commenti redazionali e dalle alterazioni piú evidenti, e per allinearli allo stile delle Virtualia?. Fuori i collegamenti interrotti, le immagini in linea e i tabellini; dentro i videoclip ufficiali delle azioni salienti; estrema attenzione per i diacritici nei nomi dei calciatori e delle squadre.
Buona lettura!
NextGen Series: Juventus 3–3 Fenerbahçe, 29/08/2012
NextGen Series: Juventus 3-3 Fenerbahce – PRIMAVERA Kicks Off ‘Baby’ Champions League!
My Return to the Moccagatta
I was born a juventino when I saw my father’s misty eyes at the news of Gaetano Scirea’s death, but I owe most of my childhood education to my neighbour, Luigi Lupo, who played left-back for Alessandria Calcio in Italy’s top division in 1922–23, before breaking his knee on his seventh appearance in a grey shirt. His memories of the calcio che fu were fables of epic battles in the fog and mud between fierce sides fueled only by passion, and legendary were the names of the players with whom he got to play, like Torino’s Adolfo Baloncieri and Juve’s Giovanni Ferrari.
A few years later their trainer, Carlo Carcano, would lead Juventus to four consecutive Scudetti in the Quinquennio d’oro.
At Stadio Moccagatta zio Gigi saw the rise of one of the most talented Italian footballers of all time, AC Milan’s Gianni Rivera, nicknamed “the Golden boy” because Alessandria allegedly sold him for the worth of his weight in gold. I attended the Moccagatta several times in the ‘90s, but I never really fell in love with the Grigi.
Coincidentally, the last time I set foot there was the first and only time I’ve seen Juventus live, when the locals were defeated 1–5 in a friendly match against Fabio Capello’s team at the beginning of the “Two Years That Weren’t”. That day I was standing among the Juve ultras.
Naturally, when Juve announced that my town’s stadium would host Juventus Primavera’s home matches in the NextGen Series, I thought I couldn’t miss them.
Recollection in Tranquillity of a Football Match
I walked early to the stadium, queued for the tickets and sat in the central stands, right above the Fenerbahçe bench and next to the VIP seats. Among NextGen Series officials and other Juventus club executives I spotted youth director Gianluca Pessotto, chief scout Mauro Sandreani, and our very own Commander-in-Chief, Massimo Carrera (another former Alessandria player), who spent the half-time break signing autographs and taking pictures with fans.
Primavera coach Marco Baroni fielded Antonio Conte’s 3-5-2 formation with Brănescu between the posts, Untersee / Penna / Rugani in the back line, Ruggiero and Mattiello on the wings, Kabashi / Schiavone / Emmanuello in the midfield, and Beltrame slightly behind Padovan in attack. As for the Fenerbahçe Academy coach – who bore a striking resemblance to Beppe Baresi – he fielded his team in a 4-2-3-1 scheme.
From the start the Juventus players looked physically stronger and focused on ball possession, but passing was slow and most of their chances came from Stefano Beltrame’s fantasia and Giuseppe Ruggiero’s deep runs on the right flank. The Istanbul side defended in an orderly fashion, with David Luiz Oğuz Mataracı providing filter and his mates promptly launching counter-attacks. Turkish captain Beykan Şimşek proved particularly dangerous, cutting Juve’s defence with his deep passes for striker Emrah Akar.
At the 27th minute came the first goal and it was Beltrame’s creation: he took possession by the centre circle, ran to the box, passed the ball on his left to Stefano Padovan who simply had to kick it past Fenerbahçe’s goalkeeper. The Turkish reaction came from the feet of Şimşek: first he troubled Laurențiu Brănescu with a free kick, then at the 38th minute he picked up a rebound and fired an unstoppable effort past the goalkeeper’s arms to make it 1–1.
The second half began just like the first half had ended: a Beltrame pass for Padovan who then turned the ball into the net. It was the 48th minute. The Turks didn’t feel defeated and kept pressing Juve’s defenders, who committed a streak of errors in possession. After Brănescu tried three times to emulate Gigi Buffon’s moment of madness against Lecce last year, a misunderstanding between Joel Untersee and Daniele Rugani forced the Italian to foul substitute Sertaç Yılmaz inside the area (or was he outside?). The referee conceded a penalty kick that Şimşek converted with 15 minutes to go.
At this time Juve’s midfielders looked tired and ineffective both in the defensive and attacking phases, the only sparks coming from Federico Mattiello on the left flank. A wonderful pass from Şimşek launched Akar in our half, Cavani-style: Akar ran to the box, avoided Brănescu’s intervention, but incredibly shot wide! It was only a matter of time however before Yılmaz curled the ball in Juve’s net, putting his side in the lead with only five minutes left on the clock.
Looking for a desperate draw, coach Baroni switched to a 3-3-4 and took Mattiello and the inconsistent Simone Emmanuello out, bringing Edoardo Ceria and Eric Lanini in. Since five minutes of injury time were spent with Turkish players faking cramps, the referee granted three additional minutes, and right at the death (90′+8′) a last-gasp cross was headed by Lanini under the bar for Juve’s deserved equaliser. Cue the Turkish Beppe Baresi getting sent off, a brawl on the pitch, and eventually the final whistle.
Comments from the Tribuna Centrale
A few words of praise must go to Juventus Primavera executive (and former Alessandria sports director) Stefano Braghin, who set up this operation and brought the competition to a proper stadium and to a proper audience. The covered stands were packed, meaning an attendance of about 1,000, mostly families with children. Though the tickets were a bit overpriced, perhaps.
The merging of tifosi grigi and bianconeri fans, often in the same person, gave rise to a creative mix of inner supporting and outer criticism, mainly directed to the goalkeeper and defenders. All spot-on, it must be said: Brănescu looked in trouble every time he had to manage the ball with his feet, and there was little harmony among the back three, who had no help from the wings when pressed by the Istanbul forwards.
Captain Andrea Schiavone and the mezzali were at times overwhelmed. I don’t know how much Baroni is into Conte’s 3-5-2, so I won’t criticise him for that, but he certainly could have made his substitutions earlier, because in the second half our midfield couldn’t keep up with the fast pace of Fenerbahçe. A rather funny moment was when the Beppe Baresi-lookalike was about to make his fourth sub before Baroni had made any, when a Turkish executive ran down the stand, screaming and showing three fingers (five subs are allowed by competition rules, but only in three instances).
Overall, Juve’s class of ‘94 doesn’t appear as brilliant as the previous ones, but only two official matches have been played so far between Campionato and NextGen Series. The next fixtures against Paris Saint-Germain and Manchester City will be more serious tests and will determine whether this Juventus Primavera has a new Gianni Rivera in its ranks. Stefano Beltrame, maybe? “Copper boy”?
NextGen Series: Juventus 2–0 Paris Saint-Germain, 19/09/2012
Nothing screams «I’m unemployed!» more than going to the stadium on a weekday afternoon to attend a youth tournament match. Last week, the Giuseppe Moccagatta in Alessandria hosted Juve’s second match of the NextGen Series: this time, the Bianconeri’s opponents were U-19 French League runners-up Paris Saint-Germain.
In the first game of the NextGen Series Juventus grabbed a last-gasp draw against Fenerbahçe. Paris Saint-Germain has had a better start, leading its home league group with two victories and one defeat, and coming back from Manchester with a surprising win against the Citizens in the first match of the tournament.
On the Parisian side all eyes were on the French-Croatian striker, Nicolas Rajsel, who scored the two winning goals against the Sky Blues. Good news for Juve arrived in the formal transfer from Cruzeiro of Brazilian forward Leonardo Bonatini, giving Marco Baroni a hard choice for the starting eleven. Would he pick a classic household 3-5-2 (with either Beltrame or Padovan having to sit on the bench) or switch to a more suitable 4-3-3?
The Match
As it were, Juve held on to their 3-5-2 but chose not to use Bonatini right away, instead opting for some personnel changes at the back. With Brănescu in net, the defence was led by Penna, Rugani, and Magnússon, along with Untersee and Laursen siding up on the wings at the right and left positions respectively. Mattiello, Schiavone, and Kabashi formed the central midfield, with Padovan and Ruggiero up top. On the opposite end, PSG coach David Bechkoura fielded a 4-2-3-1 formation with the deepest terzini I’ve ever seen [1], as well as some creative chaos behind their lone striker.
The ball-playing style that Juventus showed against Fenerbahçe was nowhere to be seen in this match, as PSG dominated the first half in both possession and territory. A few minutes into the match Filippo Penna lost the ball due to the Parisians’ high pressing, allowing Rajsel a shot on goal: Laurențiu Brănescu was vigilant and saved, repeating himself on the following corner kick and once again at the 8th minute, when Adrien Rabiot – the “man of order” of the French midfield – troubled Juve’s goalie with a 25-meter shot. The first chance for Juventus came at the 15th when Stefano Padovan launched Giuseppe Ruggiero, who resisted a defender and fired his effort above the bar. Ruggiero would return the favour to Padovan a few minutes later, only to find the Parisian keeper to deny him.
It looked clear how the overlapping movements of the French full-backs, Presnel Kimpembe and… wait for it… Antoine Conte (!), left only two men behind the line of the ball and forced Juve’s full-backs in line with the defence, but also opened wide prairies in their own half. At this time Baroni moved Federico Mattiello forward on the left and Ruggiero on the right, switching to a 5-2-3 that was more of a 3-4-3 in possession. While this would prove right in the end, it immediately put captain Andrea Schiavone and Elvis Kabashi under higher pressure, effectively pushing the team’s core back. Fortunately, a tight display by Juve’s three centre-backs prevented the opposing forwards from finalising.
In the second half Paris Saint-Germain simply had to slow down on pace, and the tide turned. Juve came out of its shell, though many balls were lost due to Brănescu’s awful foot distribution. At the 50th minute Jacob Laursen took possession on the left flank, ran into the box and shot on goal: Alphonse Areola saved into corner. It was the prelude to the Juventus goal, which arrived at the 57th: Mattiello recovered the ball into the French half and passed it to Padovan, who skipped a defender and put it into the box for Giuseppe Ruggiero. The forward promptly obliged and slammed the ball past Areola to put Juve in the lead!
One minute later, another ball stolen by Mattiello resulted in a great through-ball for Padovan, but the striker’s goal was disallowed for a dubious offside decision. Mattiello continued his good form with a 50-metre side-to-side run, before being substituted (along with Padovan): in came Eric Lanini and Léo Bonatini. The Brazilian took the centre-forward spot and, despite looking the slowest in the lot, created danger in duet with his sidekicks. The Parisians didn’t give up and came close to an equaliser at the 70th minute when trequartista Hervin Ongenda freed (French) Conte in the box, but the wisely-named right-back shot wide.
At this point coach Bechkoura decided to take Rajsel, who had been completely neutralised by Juve’s back three after his early shot, with John Nkomb-Nkomb, whose only contribution would be an attempted bicycle kick. Baroni put Edoardo Ceria in for Ruggiero to keep the ball high, then Christian Tavanti and Simone Emmanuello for Penna and Kabashi to let the clock run out. And right into injury time – with all of PSG in Juve’s half – Daniele Rugani launched Bonatini in front of the French goalkeeper: the striker sat him down and scored, to give the Bianconeri a 2–0 win and the lead of Group 2 with 4 points.
Comments from the Tribuna Centrale
I sat above the Juventus bench with pencil and paper to have a look at Baroni’s way of coaching. He wasn’t very vocal – his French counterpart spent most of the match directing his players – but he let himself heard when the forwards and full-backs didn’t cover. When Joel Untersee replied to the referee about a foul he hadn’t committed, Baroni shouted him angrily to shut up. I liked that. I liked the lack of ball-playing less.
I was surrounded by player agents and youth trainers from around Northern Italy, many of which had connections with the Juventus youngsters. Stefano Beltrame and another guy that I didn’t recognise complained with one former mister about being relegated to the stands – not even to the bench
they said – for Baroni’s turnover. They had sad eyes but they seemed to accept it.
Among the VIPs I spotted again youth director Gianluca Pessotto and chief scout Mauro Sandreani. A few seats away was the former Juventus midfielder, and current Manchester City executive, Patrick Vieira. When he was at AC Milan, a friend of mine asked him an autograph after a training session, but the young player refused it and walked away. This time he signed autographs to children who weren’t even born when he betrayed us for Inter Milan, and he gave interviews to star-struck local journalists. I liked that. I liked his betrayal less.
Despite the earlier kick-off the attendance was about the same as the previous match: about 1,000. A 20% reduction in prices didn’t hurt, though most people had free tickets. Once in my lifetime, I want a free ticket too! Should I apply for a “JuventiKnows OFFICIALLY OFFICIAL NextGen Series correspondent” press badge?
- By “deepest” I meant the opposite as they effectively played as extra wingers ~ndMassi 07/07/2022. ↩
NextGen Series: Juventus 1–1 Manchester City, 31/10/2012
NEXTGEN SERIES: JUVENTUS 1-1 MANCHESTER CITY
It was the third installment of a newly-established exciting saga. The hero was a world-class act and a divisive figure. The villain was a nouveau riche that aims to conquer Europe with oil money. Was it Skyfall? No, it was the NextGen Series match between Juventus Primavera and Manchester City!
Juventus coach Marco Baroni has no licence to kill, and it shows. Though the last-second 2–2 draw at the home of capolista Genoa and the 1–0 win in the derby against Torino can be considered as positive results, in both matches the young Bianconeri performed poorly in pressing and possession – the keys of 3-5-2, as borrowed from Antonio Conte. Baroni’s main allies are forwards Stefano Beltrame and Stefano Padovan, who form the best-matching attacking couple when they’re fielded together, while newcomer Leonardo Bonatini and captain Andrea Schiavone have failed so far in taking the team to the next level.
Like a true Bond villain, the coach of Manchester City EDS is a former friend who has joined the enemy’s ranks: Attilio Lombardo, who won the Champions League, an Intercontinental Cup and a Scudetto in his spell with Juventus. Lombardo’s henchmen are a Dutch defender with Premier League experience, Karim Rekik, a talented Spanish midfielder, Denis Suárez, and a seventeen-year-old giant striker, Devante Cole, who also happens to be the son of Andy Cole.
The Match
Heavy rain poured all day over Alessandria and created large pools in the pitch of Stadio Moccagatta. Lombardo fielded his boys, wearing a fitting granata shirt, in a classic 4-4-2; a notable absence was that of Suárez from the called-up list. Baroni responded with Brănescu between the posts; Rugani, Magnússon, Penna in the back line; Mattiello and Gerbaudo (in for Tavanti, who suffered a foot injury) on the wings; Slivka, Schiavone, Kabashi in the midfield; and Beltrame in line with Padovan in attack.
The weather and pitch conditions made the game a matter of strength and tenacity more than of technical quality: this favoured most of Juventus players, who enjoyed numerical supremacy in the midfield and were in control. The first danger for Laurențiu Brănescu came from a miscalculated back-pass by Hörður Magnússon, which he had to save into corner.
At the 10th minute, a forward header by Magnússon put Padovan past the Citizens’ defence: stuck in the mud, the striker promptly passed the ball on the left to Matteo Gerbaudo, who wasn’t given time to shoot on target. At the 17th minute, a long kick by Brănescu put Padovan again in front of City’s goalkeeper, Ian Lawlor, who deflected the ball out. Beltrame had a similar chance a few minutes later, to the same outcome.
Most of the first half was a battle to get the ball and move it from swamp to swamp. This prevented our wingers to have effective runs and our forwards to get past their opponents, but also held the English players away from our area. They had their first real chance after the 30th minute mark, when José Pozo engaged Brănescu in a difficult save under the top corner. So it came as a shock when defender Courtney Meppen-Walter headed home a corner kick to put Manchester City up 1–0 with a few minutes spare!
The second half opened with Eric Lanini coming in for Vykintas Slivka and positioning next to Padovan, with Beltrame scaling down as the trequartista in a 3-4-1-2. Juventus didn’t look defeated and kept pushing for the equaliser. At the 50th minute Padovan entered the box and was about to beat Lawlor, but he was pushed to the ground by one rushing defender: instead of conceding a penalty and showing the Citizen a red card, the referee booked Padovan for simulation! Five minutes later the penalty was awarded for a hand-ball by Kieran Kennedy: captain Schiavone kicked the ball at half-height to the left of the goalkeeper, and Lawlor saved!
Baroni put Léo Bonatini and Edoardo Ceria in for the wingers, making it a four-man attack (plus Beltrame in the hole). This move didn’t change the inertia of the game, which saw the Juventini adding up pressure and corner kicks without posing much of a threat to the boys from England. Defenders Francesco Bertinetti and Pol García made their European debut too but they didn’t have any work to do until the end.
It would have been unfair, had Juventus lost its best NextGen Series match so far. And the deserved equaliser came six minutes before the end: Beltrame caught the ball in the “D” and shot it past Lawlor, but the ball hit the bar and bounced in the box, where Daniele Rugani was ready to head it back in the net! The midfield battle lasted until the final whistle, when Citizen George Evans chased Beltrame to have a gentlemen’s talk (not really) and sparked a brawl. The heaviest rain can’t extinguish a teenage fire.
Comments from the Tribuna Centrale
The bad weather and the concurrent Serie A match kept many fans away from the Moccagatta, which had half the attendance of the previous fixtures, mostly children from the local youth team. Speaking of the weather, it reminded me of a videogame I had on my Commodore 64, Kick-Off 2: when the conditions changed from “sun” to “rain”, you could make the players slide and spin without control. That’s exactly what happened during the match to the goalkeepers and tackling defenders: fun within the fun!
I sat near a group of Manchester City technicians, with ginger hair and unintelligible accents, who recorded the match with their equipment and tracked stats about their players. I didn’t see any Juventus staff members doing the same, but they might have been somewhere else in the stadium. Among the VIPs I spotted again youth director Gianluca Pessotto, chief scout Mauro Sandreani, and the MCFC executive Patrick Vieira. Former Azzurro and current coach of Italy’s U-19, Alberigo Evani, sat there too.
Did Evani leave with good impressions on our eligible players? Padovan and Rugani have already been capped, Filippo Penna is a reliable centre-back, Federico Mattiello can improve a lot as a classic winger without defensive duties. Among the foreigners, Brănescu has a career ahead but must improve with his feet and on set-pieces, and I hope that a pure full-back like Joel Untersee (now injured) won’t be left behind to adhere to the 3-5-2 fundamentalism.
Those who didn’t make good impressions on me were the interni, Slivka and Kabashi. The former never knew what to do with the ball and didn’t provide much of a filter; the latter on the contrary was in love with the ball and lost too many a possession trying to dribble opponents in the mud. Elvis is generous and has good instinct for penetrations but should learn to keep things simple, otherwise he’s more of a danger for his own defence.
This was the third and last home fixture for Juventus in Group 2 of the NextGen Series. Paris Saint-Germain is currently leading with 6 points, Juve and City are tied second with 5, Fenerbahçe closes with 2. If we gained one victory in our leg away from Italy, qualification to the knock-out stage would be possible, at least as one of the best third-placed teams. I don’t know if future matches will be played in my home town, nor if I will be around next year, however it’s been a pleasure to share the enjoyment with you.
NextGen Series: Juventus 1–0 Rosenborg, 07/03/2013
Juventus Primavera Latest: New Pope? Bianconeri Busy Searching For Holy Grail
Off-topic Preamble
Two weeks ago I was in Chile, heading south on a bus load of students commuting within the Chiloé Island. The driver was listening to some local radio: at one point the speaker announced, in a grave voice, that Arturo Vidal had signed a six-million contract with Bayern Munich, in a transfer valued «cuarenta y seis millones de euros» (forty-six million euros).
A murmur ran across the bus. In his own country “el Guerrero” is not regarded as highly as in Europe, because his performances with the national team are pretty poor (I couldn’t find his number-8 Roja shirt in any shop). Anyway, I thought three things: «Nice job, Marotta!», «All good things come to an end», and «Give me an Internet connection NOW!».
Needless to say that the rumour was false. This is to explain how much I know about what happened in football last February.
On-topic Preamble
Let’s try to recap: last year Juventus Primavera was invited to take part in the second edition of the NextGen Series, a non-UEFA European tournament for U-19 squads. In the first round Juventus was grouped with Fenerbahçe, Manchester City and Paris Saint-Germain. In the home leg Juve drew 3–3 with the Istanbul side, beat PSG 2–0, and drew 1–1 in the pouring rain with the Citizens. The away leg was even more impressive, with a 3–2 win in England, a 2–1 win in Turkey, and a 2–2 comeback draw in France.
These results made the youth squad progress as the best second-placed team of the group stage and the only unbeaten team in the tournament. As a consequence, Juventus was seeded and had home advantage in the following draw for the one-legged round of 16. There it was paired against Rosenborg BK from Trondheim, Norway.
The Match
A break in the rain left the pitch of Alessandria’s Stadio Moccagatta heavy but in good condition. Marco Baroni fielded the household’s 3-5-2 with Brănescu between the posts; Untersee, Magnússon, Rugani in the back line; Ruggiero and Laursen on the wings; Kabashi, Cavion, Gerbaudo in the midfield; and the two Stefanos, Beltrame and Padovan in attack. Beltrame was captain in place of Andrea Schiavone, out for an ankle injury. Coach Ståle Stensaas fielded Rosenborg in a 4-3-3 scheme, with the forwards mirroring and pressing each of Juve’s defenders.
Nothing happened in the first fifteen minutes, both sides playing tightly at midfield, looking for a breakthrough. At the 17th the Troll Kids had the first chance: Juventus misplayed a corner kick, leaving way for a counter-attack that Daniele Rugani stopped with elegance. Then the spotlight fell on Padovan. Two lovely passes from midfield put him in front of goal: he wasted both, shooting one wide and one against the goalkeeper. In-between he took time to foul an opponent, escaping a well-deserved booking.
At the 26th minute centre-forward Alexander Sørloth caught the ball in our area, eluded Hörður Magnússon’s loose marking and shot above the bar. Then it was Michele Cavion who missed the goal with a long shot. But Beltrame didn’t: with the clock closing in to half an hour, he received a long pass from Elvis Kabashi past the defenders, let the ball slide on his left foot, and beat Jacob Storevik to give Juventus the lead!
Juventus took the lead in the sheet and on the pitch but wasted many an opportunity. At the 35th Kabashi put the two Stefanos again in front of Storevik, but they missed and gave way to another dangerous counter-attack. A couple minutes later Padovan was finally booked for his nervous conduct. He could redeem himself when Matteo Gerbaudo and Jacob Laursen worked around the lines and served him a sort of moving penalty kick, but Storevik saved by instinct. The last chance came from a cross by Giuseppe Ruggiero that Beltrame deflected above the bar.
The second half began with a substitution and a scheme change for the Norwegians: Sørloth, the only effective striker, was left in the showers while midfielder Fredrik Midtsjø was moved closer to the new centre-forward, in a 4-2-3-1 that could outnumber our defence line. Coach Baroni responded keeping Laursen down as an additional left-back.
At the 54th minute Rosenborg had the best chance to equalise: an insidious free kick by Ole Selnæs was deflected out; the subsequent corner kick bounced above a disoriented Laurențiu Brănescu, was saved by Kabashi and bounced back on the head of a Troll, who headed high! At the 59th Midtsjø entered our area and drove the stands into panic, but the ball went high again. Later it was Juve’s chance to score on a free kick by Beltrame: Storevik went chasing butterflies, but Magnússon’s touch was saved by an opponent clearly on this side of the goal line.
At this point Juventus looked pushed back, static, with a wide gap between midfield and attack. Baroni gave his boys fresh strength by substituting Ruggiero with Christian Tavanti and Padovan with Leonardo Bonatini: both newcomers were immediately a threat to Storevik, providing crosses and physicality. At the 83rd minute Beltrame could close the game when he eluded two defenders but shot wide. But it was Rosenborg that came close again to equalising: Ben Feirud opened the action to the right, Midtsjø dribbled Laursen into the area and passed the ball low to Sindre Haarberg, who hit the post left of Brănescu!
Baroni wasted some more time by putting Pol García and Eric Lanini in for Beltrame and Gerbaudo. And right into stoppage time Rosenborg had their last opportunity: Robin Bjørnholm-Jatta tackled Cavion greatly over the touchline and crossed; Magnússon messed up and served the ball to Haarberg, alone in the area, who shot high above the bar! Midtsjø stained his good performance with a second yellow card, and that was the end.
Comments from the Tribuna Centrale
The Trolls from Trondheim may have deserved thirty minutes of extra-time, but it was the Bianconeri’s fault to not be able to secure the match earlier. Yes, like the senior squad every other weekend! And just like the senior squad, the Primavera gets unbeaten into the quarter-finals of a European tournament. Props to Baroni for his work off and on the pitch, where he tirelessly directs players into actions.
Brănescu himself is growing into a defensive director, shouting orders and making fewer mistakes with his feet, but he looked strangely uncomfortable on set-pieces. It was nice to see Joel Untersee back to his duties after the injury, though not in his right-back role: he, Magnússon and Rugani make up a pretty solid defence line. Schiavone’s absence in midfield went unnoticed as Kabashi and Gerbaudo (who was recently called up in Italy’s U-18 along with Tavanti) provided filter and served many passes through the lines to the forwards.
I would really like to see Beltrame and Padovan in the senior squad for once: they both have skills of their own, and they complete each other as the classic second/first striker couple. Beltrame has debuted in Serie A against Genoa for mere twenty minutes, but sounds confident in his future. Padovan instead looked very nervous and missed easy chances: only could he channel his angst into goals! He surely could do better than Nicolas Anelka. (Actually, all these boys give everything they can: here’s the Troll Kids’ captain, Mikal Bjørnstad, after the match.)
So what now? The one-legged quarter-finals of the NextGen Series will take place between the 18th and the 21st of March and will be televised by Eurosport. The draw gave all four remaining English squads home advantage, meaning that Juventus will play Chelsea in London (or more likely Aldershot, Hampshire). These are tough days for our lads: there’s a Campionato derby coming on, and the two-legged Coppa Italia final against Napoli is scheduled on the 13th and the 23rd.
There is good news as well: the young Prescritti, defending champions of the tournament, were knocked out: some wonder if Gazzetta dello Sport will still call this “the Champions League of youth”. Also, the NGS board announced that the semifinals and final will be played on Easter weekend at Stadio Giuseppe Sinigaglia in Como, Italy, instead of an empty far-away venue in the Persian Gulf.
Who’s up for a trip to the Lakes?
Campionato Primavera: ChievoVerona 2–1 Juventus (AET), 01/06/2013
Juventus Primavera Latest: The Campionato Comes To A Close
Quite a low attendance showed up at Stadio Pietro Barbetti in Gubbio, Umbria, for the second match of the quarter-finals of Campionato Primavera between ChievoVerona and Juventus; most were juventini from clubs all over Central Italy.
ChievoVerona qualified for the finals reaching the fourth spot in Group B, then beating Napoli 4–2 at home and Palermo 2–4 away in the playoffs. Former senior team captain, Lorenzo D’Anna, fielded the Flying Donkeys in a 4-2-3-1 formation, that shifted to a tight 4-5-1 while defending.
Juventus coach Marco Baroni displayed this year’s classic 3-5-2 with Brănescu between the posts; Rugani, Magnússon, García in the back line; Untersee and Mattiello on the wings; Kabashi, Schiavone, Gerbaudo in the midfield; Bonatini and Padovan in attack. Stefano Beltrame was initially benched for a minor injury he had suffered in a warm-up tournament.
In the first twenty minutes Chievo simply outplayed Juve in terms of possession and maneuvering. The high pressure of the boys in blue and yellow shook our defence: in two subsequent actions Pol García and Hörður Magnússon lost the ball to forwards Matheus da Silva and Juri Cisotti, whose efforts were saved into corners by Laurențiu Brănescu and Daniele Rugani. Juventus had no clue on how to get to the other end of the pitch and resorted to long shots, one of which caused a spectacular yet useless save at the edge of his area by goalkeeper Ivan Provedel.
Juventus also looked vulnerable to counter-attacks. And at the 18th minute a quick two-way pass between Cisotti and da Silva put the Italian in front of Brănescu, who stretched for the ball but only found the player’s legs. Foul, yellow card, penalty kick, Cisotti’s conversion, Chievo 1 up. Totally deserved. So it came as a shocker, only three minutes later, that Magnússon curled a 30-metre left-foot free kick past Provedel’s head to level the score 1–1!
As an attempt to turn the tide, Baroni moved Joel Untersee to strengthen the back line and advanced Federico Mattiello to give creative support to Leonardo Bonatini and Stefano Padovan: it didn’t help much. At the 34th minute Magnússon tried to repeat himself from roughly the same spot but his free kick went inches out. Seconds later Chievo full-back Gianni Manfrin crossed in area to striker Ali Sowe, who headed wide. The first half closed with Mattiello and Padovan both finding space to shoot but missing the goal.
The second half opened with Beltrame in for Bonatini, who had been completely nullified by Chievo’s defence. Later Michele Cavion would substitute Matteo Gerbaudo, who probably played his worst game of the year. Among the Donkeys, the brilliant Cisotti was subbed by Isnik Alimi. Another quick two-way pass between their team mates Sowe and da Silva endangered Juve’s goal at the 63rd minute: Brănescu flied to save into corner.
As Chievo looked more and more exhausted, Juventus gained control of the match. Beltrame ran a couple of times from midfield to goal, wasting chances out. Padovan missed the easy conversion of a lovely cross by Cavion. A Quagliarella-style long-distance lob was tried by clivense Filippo Costa. At the 83rd minute, the only proper ball exchange between Beltrame and Padovan sparkled a back-heel pass inside the area to Mattiello, but defenders cleared. Ghana-born, Italian-bred Caleb Ekuban came in for Sowe. Beltrame was booked for a dubious simulation, and the final whistle was blown.
With Chievo on its last legs, extra-time looked bright for Juventus. Seven minutes into it, a free kick by Andrea Schiavone was barely saved by Provedel. Among the Gialloblú da Silva was benched for midfielder Davide Paruzza, with Ekuban playing as the only forward of a desperate 5-4-1. Among the Bianconeri García was booked and then substituted by winger Edoardo Ceria, which re-established the starting 3-5-2. One team was aiming to the penalties, one team was aiming to a winner.
This is football, so nothing turns out exactly like planned. Three minutes into the second half of extra-time, Ekuban received the ball between the lines. Alimi ran to his left into the area to suggest a pass. Either Magnússon and Rugani should have followed Alimi, leaving the other taking care of Ekuban, or they both could have left Alimi to Untersee. Instead they both followed Alimi into the area, leaving Ekuban enough space to shoot the ball into the lower left corner of the net. ChievoVerona 2–1 Juventus.
In the last twelve minutes our players managed to waste three chances to equalise. The first chance came to Padovan’s feet, but he must had left his scoring skills in the locker room. The second chance came from a corner kick that caused confusion into Chievo’s area, but Provedel saved. The third chance came two minutes into injury time when Beltrame got a free kick just outside the box, with enough seconds to try and bend it into the net. In his most stupid action of the year, Elvis Kabashi rushed to take the free kick before the opponents had settled, but instead of serving Padovan he effectively passed the ball to the goalkeeper. There ended Juventus’ run in the Campionato Primavera.
Comments from my living room
The Flying Donkeys took off to the semifinals against Lazio, who had beaten Torino earlier in the afternoon, while the Young Zebras couldn’t get past the quarter-finals for the seventh time in a row. Juventus reached the final and won the competition for the last time in 2006 with the Calciopoli generation of Criscito, De Ceglie, Giovinco and Marchisio.
This was a disappointing ending for a season that saw Juventus dominate its Campionato group, win the Coppa Italia, and reach the quarter-finals of the NextGen Series (only losing away to Chelsea). The elimination from the Viareggio tournament in the first knock-out round at the hands of far-inferior side Juve Stabia rang a bell that should have been heard loud and clear. This team was physically and technically gifted but often lacked in concentration.
I can’t stand that many players gave their worst in such an occasion. Some were even at the end of their spell in the youth sector. Marco Baroni stood out to me as a fine educator but he should improve his motivational skills. As a trainer, he took some weeks to adapt his beliefs to the 3-5-2 that the club requested and that is so unusual to teach. Perhaps he interpreted it too defensively?
At half-time, on another TV channel, best-tactician-ever Oronzo Canà was giving a lesson about “bizona” and “5-5-5”. I really don’t like Italian comedies of the 70s and the 80s, but I loved the coincidence.
In the end I think that you should keep an eye on Laurențiu Brănescu, who may already deserve a bench seat in the senior team; Hörður Magnússon and Daniele Rugani, who are like a junior Bonucci/Barzagli pair; Elvis Kabashi and Matteo Gerbaudo, wishing that they improve in consistency; and my favourite youngster, Federico Mattiello. Stefano Padovan should get the hairdryer treatment ASAP. Stefano Beltrame is head and shoulder above his peers, and I hope that he will deliver as a professional too.
Matricole e meteore
Luglio 2022. Che fine hanno fatto allenatore e calciatori della Juventus Primavera 2012–13? Mi vengono in aiuto Transfermarkt e Wikipedia.
Marco Baroni ha appena vinto il campionato di Serie B con il Lecce.
Laurențiu Brănescu è stato sotto contratto con la Juventus fino a due estati fa; dopo aver fatto il giro dell’Europa in prestito, incluso un anno in Scozia nel Kilmarnock di Angelo Alessio, nell’ultima stagione è stato riserva nel campionato romeno.
Hörður Magnússon ha una quarantina di presenze nella nazionale islandese, e sta cercando una nuova squadra dopo essere stato svincolato (per ovvi motivi) dal CSKA Mosca; non dubito che troverà presto una nuova e consona sistemazione.
Federico Mattiello ha avuto un discreto inizio di carriera in Serie A, purtroppo segnato da due fratture alla gamba destra; di recente è tornato allo Stadio Moccagatta per indossare la maglia grigia, nella fugace e triste stagione dell’Alessandria in Serie B.
Anche Michele Cavion è retrocesso dalla B alla C, ma con il Vicenza. Simone Emmanuello è stato tesserato per la primissima Juventus U23 ed è da anni alla Pro Vercelli in Serie C. Matteo Gerbaudo è anch’egli fisso in Serie C, titolare del Mantova. Elvis Kabashi è nel Como in Serie B. Giuseppe Ruggiero gioca in Serie D. Andrea Schiavone ha sempre giocato in Serie B, fino alla promozione in A con la Salernitana.
Vykintas Slivka ha una cinquantina di presenze nella nazionale lituana, e qualche anno fa è transitato dal campionato scozzese a quello greco.
Leonardo Bonatini è di proprietà del Wolverhampton ma ha giocato le ultime due stagioni nel Grasshoppers di Zurigo. Eric Lanini è diventato un prolifico attaccante da Serie C, l’ultima stagione a Reggio Emilia. È la carriera che poteva avere e che finora non ha avuto Stefano Padovan, fresco svincolato dall’Imolese.
Anche Stefano Beltrame è stato sotto contratto con la Juventus per quasi una decade, senza brillare in nessuna delle squadre dove è stato dato in prestito fra Serie B ed Eredivisie; dopo mezzo campionato nella Juve U23 (da fuoriquota) è stato poi venduto al CSKA Sofia, e da lí è finito al Marítimo di Funchal sull’isola di Madeira.
Nessuna notizia recente di Francesco Bertinetti, Edoardo Ceria, Pol García, Jacob Laursen, Filippo Penna, Christian Tavanti, Joel Untersee.
Daniele Rugani era in prestito dall’Empoli, dove tornò e fece benissimo per due stagioni sotto Maurizio Sarri. Alla Juventus senior dal 2015, ha vinto cinque scudetti, tre Coppe Italia, due Supercoppe. Con l’Under-21 ha vinto un bronzo europeo da titolare, e nella Nazionale maggiore ha giocato sette partite. È il miglior calciatore passato per le nostre giovanili dai tempi di Calciopoli, e a ventotto anni ha un palmarès per cui ogni ragazzino venderebbe l’anima a Eupalla. Ma non si è mai scucito di dosso l’etichetta di quarta scelta per il reparto difensivo centrale, non è mai stato considerato come una vera alternativa ai decotti Bonucci e Chiellini (neanche nell’anno del suo maestro Sarri), e quando ha avuto le sue occasioni per dimostrarci di essere da Juve non ci ha mai convinto. Eppure, finché non ci avrà lasciato «a titolo definitivo», continuerò a sperare di vederlo alzare la Coppa dalle Grandi Orecchie con la nostra maglia e con la fascia da capitano.
Internet explorer #21 ·
- Malvino › Propaganda, di Luigi Castaldi.
- Oblomov › I corpi degli altri, di Giuseppe Bilotta.
- Domani › Lo schwa rischia di essere più esclusivo che inclusivo, di Raffaele Alberto Ventura.
All along the rozhledna ·
A buncha communiss ·
Ho pescato A Confederacy of Dunces alla fermata dell’autobus giú in piazza, fra i volumi di cui la biblioteca locale si libera ogni mattina. Era un’edizione Penguin Classics di metà anni Duemila, e dev’essere stata tre lustri su uno scaffale a prendere polvere, perché la costa e le pagine erano intonse: non m’immagino molti jundrováci interessati alla letteratura americana post-moderna non tradotta.
Eppure il protagonista, l’anti-eroe Ignatius J. Reilly, è in certi aspetti simile all’anti-eroe nazionale Josef Švejk: entrambi sono improduttivi, indulgenti ai piaceri corporali, e vivono ai margini di una società di cui a modo loro si fanno beffe. Ma se il bravo soldato Švejk è o fa l’idiota, e sopravvive per mezzo della sua ignoranza, al contrario Ignatius Reilly è un reietto colto, l’immagine dell’intellettuale so-tutto-io da cameretta, che parla come un libro stampato, si è fatto una propria imperturbabile idea di come la società debba essere, ed è incapace di compromettere questa sua visione della società al fine di poter vivere in essa (notre semblable, notre frère).
Ignatius vive recluso nella sua stanza a scrivere diari e pamphlet finché un episodio lo costringe a uscire e cercarsi un lavoro, e a confrontarsi con quella umanità che guarda con disprezzo. Il romanzo lo segue nelle sue avventure per le strade di New Orleans, e nelle sue interazioni con i personaggi piú disparati e disperati: la madre vedova, un poliziotto frustrato, un giovane nero sottoccupato, la gestrice di un bar malfamato, un imprenditore annoiato, un ricco omosessuale, e molti altri. Ognuno parla una lingua distinta, una diversa sfumatura del dialetto locale.
Al di fuori di questa “confederazione di cretini” che si oppongono al suo “vero genio” (secondo la citazione di Jonathan Swift che dà il titolo) c’è la beatnik newyorkese Myrna Minkoff, un’ex-compagna di università. I due intrattengono una relazione platonico-epistolare, come novelli Abelardo ed Eloisa, in cui s’informano l’un l’altra dei loro maldestri tentativi di sovvertire l’ordine costituito, lei da sinistra e lui da destra (benché la madre pensi che sia un “communiss”, Ignatius è un reazionario di tre cotte, e ivi risiede l’umorismo).
Quella fra Ignatius e Myrna è la piú alta forma di tensione sessuale irrisolta che abbia mai visto rappresentata nell’arte, e un po’ gliela invidio. Non si risolve neanche alla fine del libro, quando lei torna a New Orleans per salvarlo da se stesso, giusto in tempo per sottrarlo a un ricovero alla casa dei matti. La fuga verso New York, con lei alla guida e lui che le sbraita ordini dal sedile posteriore, è appena iniziata, ma la dinamica del loro rapporto sembra inalterata. Soltanto nell’ultimo paragrafo, lasciando The Big Easy alle spalle, c’è un accenno di affettività e sensualità da parte di Ignatius; ma è come la Cosa al termine del film di John Carpenter, ha trovato un nuovo simbionte da parassitare.
Internet explorer #20 ·
- Sophie Shepherd › The Road to Burnout is Paved With Context Switching.
- Sophie Shepherd › So you’re thinking of becoming a manager…
- Email is Good, by Chris Coyier.
- Maggie Appleton › A Brief History & Ethos of the Digital Garden.
- Skeptical Inquirer › On Pigeon Chess and Debating, by Massimo Pigliucci.
- Philosophy as a Way of Life › How to practice Stoicism, by Massimo Pigliucci.
- Rivista il Mulino › Alessandria, giugno 2022, di Giorgio Barberis e Luca Garavaglia.
- Radio Prague International › 100 days since start of Russian invasion: how much has Czechia helped Ukraine?, by Anna Fodor.
- The GitHub Blog › Sunsetting Atom.
- Windows Experience Blog › Internet Explorer 11 has retired and is officially out of support—what you need to know, by Sean Lyndersay.
Pastrami ·
Lə ragazzettə salta sul 67 appena prima che le porte si chiudano, e trova posto su un sedile rivolto in direzione contraria al senso di marcia. Veste una felpa bianca, jeans skinny-fit, e ha i capelli disordinatamente tinti di un azzurro metallizzato come i suoi occhi, o come Billie Eilish prima che se li facesse verdi. È magrissimə e non ha forme né peluria: piú che genderfluid, è genderless.
Il ragazzetto sale alla fermata del ponte, saluta lə ragazzettə e si siede accanto. Veste le cuffie Marshall squadrate nello stile degli amplificatori, ha il braccio sinistro tutto tatuato, ma anch’egli non dimostra i diciott’anni di ordinanza.
Insieme guardano un video sul cellulare del ragazzetto. Lui posa la testa sulla spalla di ləi, poi ci ripensa. Ləi si torce le mani nervosamente. Sono molto teneri e sembrano molto tristi.
Obligatne + Caramel @ Alterna, Brno,
Alterna lies at the ground floor of a student residence in Ponava, and its A2 stage is in the basement. Tonight the audience is made up of 96% gymnázium or univerzita students; plus the support band’s singer’s mother, her friend, one random man, and a creepy guy with a laptop.
Caramel is a trio, in 2020 they released an EP, and ve své hudbě prolínají melancholické texty s chytlavými melodiemi a balancují na hraně emo rocku, post punku a dark popu
. Indeed, their set opens with a bassline lifted straight from The Cure’s playbook. They have a passionate claque who sing along their songs, and some bangers that make the girls dance (they will play them again and again and again in the encore).
Obligatne is also a trio, recently they released their debut album, and I have the chance to see them live one year after I wrote about them.
They have managed in the studio, but not yet on the stage.
Here the singer goes on picking chords on her guitar, while behind her something unrelated happens. Not in terms of staying in tempo or any other technicalities – they know how to play their instruments, they are aware of that, perhaps the bass player is too much aware of that – rather in terms of style. The rhythm section is putting on a different show, too energetic and self-centred to match and sustain the singer’s subdued performance. To my ears their session sounds disjointed, and I see it falling flat on the audience. Also it is quite a short set, a bit over half an hour, ending on a low.
Highlight of the night: the singer and the drummer improvising a cover of Katarzia’s Princezná Lolita during the soundcheck. That was fun!
Che bei colori! ·
(Il titolo è da leggersi con il timbro nasale e le vocàli bène apèrte come in quella réclame di vent’anni fa che non ricordo cosa reclamizzasse.)
Adoro la palette delle schede dei referendum abrogativi di quest’anno! E quel profumo di carta e d’inchiostro che evoca una cabina elettorale di fine Prima Repubblica? Estasiato dalla madeleine democristiana ho reimbustato le schede intonse e domattina le rispedirò all’Ambasciata.
La chiave a stella ·
Talvolta, in azienda e fuori, c’è chi mi chiede «come va il nuovo lavoro»: se è come me l’aspettavo, se mi piace, se mi sono pentito del cambio. A volte è una domanda di cortesia e rispondo piemontesemente. A volte è una domanda sentita e cerco di elaborare una risposta adeguata. Dovrei sempre recare con me una copia della Chiave a stella di Primo Levi e regalarla all’interlocutore.
- … della robota, ~ndMassi. ↩
Internet explorer #19 ·
- The Guardian › What I learned about addiction from a Czech crystal meth cook, by Barbora Benešová.
- Radio Prague International › “It’s a massive problem” – Doc spotlights meth in rural Czech communities, by Ian Willoughby.
- Derek Sivers › Write plain text files.
- Aeon › Kafka the hypochondriac, by Will Rees.
- RUSI › Are Czechia and Slovakia the EU’s New Radical Centre?, by Benjamin Tallis.
- Doppiozero › Zelensky, servitore del popolo?, di Adriano D’Aloia.
- UnHerd › How Wet Leg conquered Britain, by Dorian Lynskey.
- Alcuni aneddoti dal mio futuro › Wet Leg – S/T, di Roberto Briozzo.
- Polaroid › I was in your wet dream, di Enzo Baruffaldi.
- wrong side of write, by Mike Waterston.
Giornata della Vittoria ·
Delle tredici feste nazionali in Repubblica Ceca, quest’anno ben cinque cadono durante il fine settimana. A differenza dei Paesi anglosassoni, dove le festività del weekend slittano al lunedí successivo, e dell’Italia, dove le festività del weekend se non godute vengono pagate, in Cechia se non godute passano in cavalleria.
Oggi si celebra, cosí come in altri Stati europei, la Giornata della Vittoria nella seconda guerra mondiale; in passato era conosciuta anche come la Giornata della Liberazione dal fascismo.
Brno fu liberata il 26 aprile 1945 per opera del secondo fronte ucraíno dell’Armata Rossa, comandato dal maresciallo Rodion Malinovskyi (cui oggi è dedicata una piazza del centro). La liberazione dei sobborghi settentrionali avvenne in realtà giorni dopo, dopo intensi bombardamenti e scontri sul terreno: l’ultimo a capitolare fu Řečkovice, il 5 maggio. Quasi ogni sobborgo ha quindi un piccolo monumento ai caduti sovietici. A Jundrov sono ricordati cinque di loro, insieme ai soldati e ai partigiani locali.
Il 25 aprile un caccia sovietico fu colpito dalla contraerea nazista e si schiantò sulla collina dietro Kohoutovice. Un monumento ai piloti caduti fu eretto nel luogo dello schianto nel 1973. Il pilota di quell’aereo fu identificato in seguito, e la sua fotografia venne apposta al monumento: era il sottotenente russo Viktor Kašutin. Sono passato di lí per caso domenica scorsa durante una passeggiata nella riserva Holedná. La stella con inscritti la falce e il martello è stata imbrattata con i colori ucraíni in vernice spray, ma l’effige di Kašutin è intatta.
A Praga da tempo si sta discutendo su cosa fare della cittadinanza onoraria e della statua al maresciallo Ivan Konev, liberatore e poi invasore dell’Ungheria (1956) e della Cecoslovacchia (1968). A Brno in Moravské náměstí (già piazza dell’Armata Rossa, già piazza Adolf Hitler) svetta un’alta statua al soldato sovietico. Non mi è giunta voce di dibattiti sulla sua esistenza; ma dopo l’invasione dell’Ucraína da parte della Russia è stata affiancata dalle bandiere dell’Unione Europea, della Repubblica Ceca, dell’Ucraína stessa e… della NATO.
Si tratta di un compromesso, sensato ma perfettibile, fra il mantenimento della memoria storica e la necessità di contestualizzare il significato di opere celebrative di figure che oggi giudichiamo, se non totalmente negative, quantomeno ambivalenti. Oltre la cancel culture.
Ieri pomeriggio sotto quella statua si è svolto un raduno di cosplayers adolescenti assai genderfluid. Iosif Stalin non avrebbe apprezzato.
Godo ancora ·
5 maggio, santo Karel Poborský.
Máj krásny Máj ·
Permanentkář ·
Il finale è stato anticlimatico: nel pomeriggio la squadra dei pallottolieri di Vlašim (nel senso di “produttori di pallottole”) aveva pareggiato, e il distacco da noi arsenalisti di Brno era diventato incolmabile. Lo speaker dello stadio annunciava la promozione in první liga ancor prima dell’ingresso in campo delle formazioni, mentre io addentavo una succosa klobása seduto al sektor L, řada 13, sedadlo 3.
Al sektor L, řada 13, sedadlo 3 avreste potuto trovarmi questa stagione, ogniqualvolta lo Zbrojovka giocava allo stadion di via Srbská. Scrivo “avreste potuto” perché ho assistito soltanto a 7 o 8 partite sulle 14 casalinghe finora disputate, e perché talvolta ho ceduto il mio sedile rosso a una compagnia di preadolescenti (piú interessati ai loro cellulari che al giuoco del pallone) spostandomi un poco in là.
La permanentka è stato un regalo del mio ex-gruppo di lavoro. Evička mi ha trovato questo ottimo posto, centrale e coperto – díky, Evičko! – dopo un lustro di occasionali accessi al settore N, all’altezza della porta all’estremità nord del campo.
Gli abbonati alla mia destra sono un uomo, all’incirca mio coetaneo, e suo figlio, intorno agli undici anni. Un paio di volte l’uomo ha invitato un collega al posto del figlio; altre volte il figlio è arrivato con tre amici, e per non stare in mezzo ai loro discorsi mi sono spostato al sedile 5. Alla mia sinistra non ci sono abbonati, ma di recente una presenza fissa è stata una coppia di coniugi sulla settantina. Nella fila dietro alla mia (separata da un camminamento) siedono degli ultras poco gentlemen: fanno casino, cantano il contrappunto ai cori degli ultrà “regolari”, e lanciano ad avversari e arbitri degli elaborati epiteti; con loro c’è sempre un bambino che spero non ripeta gli stessi urli a scuola.
Ho mancato a metà delle partite di campionato o perché ero fuori città, o perché si sono svolte in orario di lavoro, o perché l’idea di assistere a un incontro di bassa qualità nel gelo serale non mi ha convinto a uscire (la seconda divisione ceca equivale a una Serie C con meno passione). La prossima stagione torneremo a giocare contro Slavia, Sparta, Viktoria, e altre compagini di livello superiore al nostro. Ci sarà da divertirsi.
La cara triste de la América ·
– … And that’s how I chose Siebel over her.
– Don’t you ever regret that?
– No, I don’t.
L’autistico è stato prelevato nella notte da un asilo vietnamita. In aereo: Rear Window, To Kill a Mockingbird, Strange Days.
Un’ora e mezza in coda all’immigrazione del Benito Juárez; niente, per chi è transitato due volte per le forche del Ben Gurion.
Nel parcheggio dell’aeroporto i cartelloni 6×3 coprono gli scheletri dei cantieri abbandonati. Le chiusure di sicurezza del fuoristrada scattano. Cibo di strada, filo spinato, insegne dipinte: nel cielo buio s’illumina la scritta al neon «B I E N V E N I D O E N A M É R I C A L A T I N A».
CDMX giace geograficamente in UTC+7, ma finge di essere in +6 per non tardare troppo sugli USA, cosí l’alba sembra sorgere pigra e lenta. Americana è l’aria condizionata da pinguini in ufficio, ma sul tetto dell’ambasciata accanto sventola orgogliona la bandiera russa (proprio lei).
Io e le mie Tre Grazie siamo fianco a fianco per la prima e forse ultima volta, e non ci sentiamo degli sconosciuti. Con loro ho lavorato bene.
Ho un’intuizione della condizione femminile in una società machista quando una di loro intraprende il viaggio di tre ore verso casa, e chiede di controllare sul cellulare che l’autista dell’Uber abbia preso la direzione giusta. «Se le succede qualcosa è colpa mia», penso colonialmente.
Ogni mattina nella sala della colazione il presidente AMLO è in TV con un qualche pretesto. I tre cortei incrociati che ci impediscono il ritorno in albergo, di diversa estrazione popolare, suggeriscono una qualche imminente elezione. I miei compagni di viaggio non paiono interessati.
Nel Centro Histórico i perros callejeros sono scomparsi. Altrove un hombre callejero mi fa cenno di seguirlo: lo ignoro, e sappiamo entrambi che non può varcare la soglia dell’hotel, confine magico fra i nostri diversi mondi. Con quel suo skateboard sembra Steve Buscemi in 30 Rock.
Se non mi sono beccato la COVID-19 nel malsano ambiente dell’Escape Room “El Purgatorio”, né su due voli transatlantici, dove me la becco?
– ¡Señor, dobemos vuelver a l’inicio!
Internet explorer #18 ·
- GoFundMe › Direct help to refugees at the border, by Kasia Nieśpiał.
Kasia, un animo gentile e un tesoro, è andata nel suo paese natale in Polonia a far la volontaria in un centro di prima accoglienza per profughi. Ha raccolto donazioni per quasi quattromila sterline, con cui acquista cibarie e vestiti, e ogni giorno ci racconta delle persone che incontra.
- Linkiesta › Tutto quello che ho visto nel mio viaggio per salvare i profughi, di Sergio Pilu.
- The Guardian › The people who keep the refugee trains running out of Ukraine – photo essay, by Shaun Walker and Jelle Krings.
- Respekt › Koljo, nečekej, naskoč a jeď, pak se najdeme, od Ivany Svobodové.
- Respekt › Uprchlické centrum na brněnském výstavišti, od Matěje Stránského.
- Brno Daily › Opinion: Where Are The Lines of Innocence and Humanitarianism Drawn in Eastern Europe?, by Melis Karabulut.
- Strade › Spese militari e difesa europea. Conte ha torto, ma Draghi non ha ragione, di Marco Zecchinelli.
Short fuse ·
Un qualche giorno dell’estate del 1993, quella fra elementari e medie, di cui non ricordo niente, mia madre portò a casa un’audiocassetta che le aveva passato una collega: una C74 della BASF o della TDK, copia pirata della compilation del Festivalbar; ma non tutta la compilation, soltanto la seconda metà, quella con gli artisti internazionali.
Quella cassettina restò qualche tempo nell’autoradio dell’A112, per poi finire nel mangianastri rosso della mia cameretta e contribuire alla mia un po’ estemporanea educazione musicale. La scaletta è vergognosa
: gli Ace of Base, Haddaway, Terence Trent D’Arby; ma ci si trovano anche Ordinary World, Break It Down Again, Sweet Harmony e il suo video patinato con le modelle patane.
Il mio brano preferito è Regret dei New Order:
Regret arriva al termine della prima parte della carriera del gruppo, dopo i classiconi degli anni Ottanta che tutti citano per darsi un tono. Peter Hook ha scritto che è la loro ultima bella canzone (ovviamente sbaglia, quella è Crystal). Per me rientra nella personalissima categoria dei “perfetti pezzi pop” (la produzione è di Stephen Hague), e mi sorprende sempre quanto Bernard Sumner la prenda alta.
Gli esterni del video furono girati in marzo a Roma e a Los Angeles, e mostrano la band in giro per la capitale italiana su sfondi caratteristici: Trinità dei Monti, il Colosseo, la via Salaria (uh uh). L’estetica è quella dei primi anni Novanta: forte saturazione, split screens, tagli veloci. Verso 1′30″ il montaggio alterna Stephen Morris con un graffito su un muro di mattoni nudi:
Immagino che il regista Peter Care l’abbia considerato attinente al tema visuale impostato dall’art designer Peter Saville per l’album Republic: la decadenza degli imperi. La Guerra Fredda era appena finita, uno dei due si era dissolto, l’altro aveva ancora ragione di esistere?
Ripenso a quel graffito, cui probabilmente io solo ho prestato attenzione, in queste ultime vivaci settimane in cui l’impero russo s’è risvegliato e l’impero americano osserva gli eventi a distanza; e l’Europa in mezzo, con una vera guerra sul proprio territorio, a chiedersi leninianamente «che fare», da che parte stare, se e quanto riarmarsi. Un graffito comparso in una manciata di fotogrammi in un videoclip di ventinove anni fa ha nuovamente rilevanza politica, come se gli ultimi tre decenni non fossero mai avvenuti, una linea diretta dalla dacia di Gorbačëv in Crimea al bunker di Zelenskyi a Kiev.
C’è un piccolo problema. La vedete quella croce celtica? Né USA né URSS
era uno slogan del movimento neofascista Terza Posizione.
Moltitudine, moltitudine ·
Volodymyr osserva le due volontarie austriache fermarsi al terzo tavolino. Quella adulta – quella senza sciarpa in testa, ma non fanno parte di un’organizzazione cristiana? – chiede a un uomo se la panca di fronte è libera. Volodymyr vede l’uomo gesticolare con le braccia tese e i palmi delle mani rivolti verso l’alto. La volontaria adulta fa segno a lui e a Iryna di prendere posto.
Non prendono posto ma posano sulla panca tutte le loro cose: due zaini. Volodymyr vede l’uomo ingozzarsi di un’informe massa arancione, e pensa che in trentadue anni di matrimonio Iryna non gli ha mai cucinato niente di cosí rivoltante; ma qualunque cosa sia, a quell’uomo piace. Stasera Volodymyr non ha fame. Sua moglie è al telefono con Yelyzaveta che vive in Cechia: la informa che sono a Vienna e li faranno salire su un treno che partirà alle sei e ventitré; no, non lo sa a che ora arriveranno; sí, papà sta bene; no, Sasha non l’ha ancora sentito. «бувай».
Volodymyr e Iryna siedono ad aspettare. «Dobrý večer», li saluta l’uomo. «добрий вечір», gli rispondono. Volodymyr si sbottona il giaccone che indossa sopra la tuta dello Spartak Kiev. Sua moglie si rialza subito per chiamare il figlio rimasto in città. E subito ritorna la volontaria adulta, perché il treno speciale già li attende al binario. Volodymyr si riabbottona il giaccone, prende i due zaini, e si commiata con l’uomo. «Auf wiedersehen». Quello, con la bocca piena, fa “ciao” con la mano.
- ORF › Caritas-Notschlafstelle am Hauptbahnhof / Hilfe-Hotspot am Hauptbahnhof.
- Michael Bonvalot › Flüchtlinge werden am Wiener Hauptbahnhof aus dem Zug geworfen.
Con la coda dell’occhio Olga guarda il viaggiatore scapigliato che poco fa ha messo la valigia nella cappelliera sopra al sedile. Sta fissando nervosamente la porta dello scompartimento, forse non ha il biglietto? Lei e le sue bambine il biglietto non ce l’hanno, ma alla Hauptbahnhof l’hanno rassicurata che le basterà mostrare i passaporti al controllore.
I controllori delle ferrovie ceche sono due, un uomo e una donna che percorrono il treno in direzioni opposte e s’incontrano esattamente all’altezza di Olga. Le sue bambine mostrano orgogliose il libretto blu con le insegne dorate. Il controllore-uomo sorride, poi muta espressione e indica una scritta sopra alle loro teste: «Rezervováno Brno–Praha». Il controllore-donna invita Olga e le sue bambine ad alzarsi e a seguirla nello scompartimento in coda. La bambina piú piccola mostra la lingua al viaggiatore scapigliato: è sicura che sia tutta colpa sua.
- Respekt › Čekání na bezpečí, od Milana Bureše.
- Buongiorno Slovacchia › Oltre 165 mila profughi entrati in Slovacchia dall’Ucraina in due settimane.
- Radio Prague International › Ukrainian refugees arriving by the thousands at Prague’s main train station, by Martina Kroa.
Anastasiia s’infila lesta fra le porte dell’autobus 67, condottiera della folla in uscita dal centro commerciale, e siede accanto a un tizio che tiene il capo appoggiato al finestrino e una borsa porta-computer in grembo. Mamma e zia le siedono dirimpetto, stringendo a sé asciugamani e una bacinella di articoli per la casa. Alla zia la mascherina chirurgica è scesa sotto il nasone: altrimenti non respira, si giustifica.
La mamma chiede ad Anastasiia a quale fermata dovranno scendere. «Skácelova, це недалеко», risponde la ragazzina che come un’antenna impugna l’unico cellulare con connessione dati, lo scettro del potere fra le unghie laccate di rosa. Già a Charvatská la zia si muove irrequieta e stringe gli occhi per leggere il visore in testa al veicolo. Ma davvero Skácelova non è lontano: la folla sciama, e loro tre, e l’autobus si svuota.
- Brno Expat Centre › Get help, or help those fleeing Ukraine.
- Brno Daily › War In Ukraine Transforms Czech Attitudes Towards Refugees In Just A Few Days, by Julie Chrétien.
- Respekt › Věřím, že Česko udělá víc než to, že na uprchlíky někde nebude pršet, od Františka Trojana.
CCCP už nikdy! ·
Dumbass ·
Conosco un ridotto numero di russə; di ucraínə ancor meno. A una festa a casa di Eliška incontrai una giovane di Dnipropetrovsk dagli occhi viola, che flirtò lei con me fin quando capí che non ero il ragazzo della ricciolona mora con cui ero arrivato. Questo è il mio unico legame e tutto quel che so sul conflitto in corso, del resto anch’io ho imparato la geopolitica dai libri con le figure colorate.
So anche che metà del Parlamento italiano è in tasca a Vladimir Putin e/o a Xi Jinping, e non mi pare che ciò sia fatto notare abbastanza.
Il governo ceco era in tasca loro fino all’autunno scorso, poi alle elezioni legislative due dei tre partiti compromessi sono stati messi alla porta. “L’amico Putin” è stato rinnegato pure da Miloš Zeman, il presidente uscente filo-russo, che gli ha dato pubblicamente del šílenec, “pazzo”.
L’invasione dell’Ucraína ha toccato le corde dei Cechi e degli Slovacchi, che subirono un trattamento simile nel 1968.
Il nuovo governo ceco, filo-occidentale, ha fatto chiudere il consolato russo a Brno. Il comune e la regione stanno preparando assistenza legale e alloggi per i profughi: si prevede saranno soprattutto donne, bambini e anziani, perché gli uomini coscrivibili non possono lasciare il Paese. Al contrario, qualche ucraíno è partito a combattere ([t]hey already fought in the Donbas in 2015
, per ora preferisco non farmi domande). Le ferrovie hanno organizzato treni speciali gratuiti in entrambe le direzioni; i media statali pubblicano notiziari in lingua.
Le istituzioni di Bratislava, dall’orientamento variegato, si sono subito schierate con Kiev, e hanno concesso ai profughi uno statuto speciale con assistenza sanitaria e permesso di lavoro. La Slovacchia mantiene un breve confine con quel lembo d’Ucraína chiamato Transcarpazia che per vent’anni fece parte della Cecoslovacchia col nome di Rutenia subcarpatica, e su cui i nazionalisti ungheresi hanno messo gli occhi in caso di spartizione (è un complicato angolo d’Europa).
Su Internet noto la singolare corrispondenza fra crypto bros, “no vax”, e tankies rossobruni, come se si abbeverassero alle medesime fonti di (dis)informazione. Vedo persone intelligenti condividere i contenuti di Russia Today e Sputnik, le moderne versioni della Komsomolskaya Pravda per il pubblico digitale occidentale, e mi chiedo quanto vi credano o quanto sentano bisogno di credervi in reazione all’establishment.
Ovviamente è in atto anche la propaganda americana ed europea, ma ci siamo dentro ed è piú difficile riconoscerla. Talvolta non è neppure propaganda, ma cialtroneria dei giornalisti che usano materiale non correlato per lo choc che provoca. Conseguenze sono la perdita di fiducia nei media tradizionali, e la spinta degli spettatori verso le vere fake news: «se la Rai mi fa vedere finte immagini di bombardamenti, allora è tutto falso, e ha ragione quel tizio su YouTube nel dirmi che Putin vuole liberare i russofoni dal giogo nazista». No.
Abituamoci a fare la tara di ciò che leggiamo e vediamo. Chiediamoci qual è la fonte primaria, con chi è schierato il divulgatore, a quale potere risponde il canale di diffusione.
Ora Слава Україні! Smrt fašizmu, sloboda narodu!
Quando la guerra sarà finita, le trattative in corso sulle sanzioni dimostrano che occorrerà trovare soluzioni migliori – soluzioni comuni – per le politiche energetiche e di sicurezza dell’Unione Europea; e che occorrerà riconsiderare il nostro rapporto con la NATO, perché gli interessi economici e militari delle due sponde dell’Atlantico non coincidono.
Ho chiesto a Majka quali organizzazioni benefiche conosce, che operano alla frontiera della Slovacchia con l’Ucraína. Mi ha suggerito:
- Človek v ohrození (“Persona in pericolo”), partner della ceca Člověk v tísni.
- Slovenská katolícka charita, ovvero la filiale locale della Caritas internazionale.
- Kto pomôže Ukrajine (“Chi aiuterà l’Ucraína”), una collaborazione di una trentina di associazioni.
Ripetizioni di geografia ·
Internet explorer #17 ·
- The Baffler › Electric Crypto Balkan Acid Test, by Alexander Clapp.
- My Spiace › La calligrafia delle ragazze sulle cassette, di Paolo Albera.
- Reuters › Gender and language, by Minami Funakoshi and Sam Granados.
- UnHerd › Why comedians stopped being funny, by Dorian Lynskey.
- The Guardian › The death of the department store, by John Harris.
- Common Sense › What the Truckers Want, by Rupa Subramanya.
- Complotti! › La carovana della libertà, di Leonardo Bianchi.
Řidičský průkaz ·
Nei tre o quattro mesi in cui insegnai l’italiano agli immigrati, come volontario presso l’associazione Verso il Kurdistan, fra tanti magrebini uno degli studenti miei e di Gaia era un ragazzo argentino. Era arrivato ad Alessandria per ottenere la cittadinanza italiana; ottenutala, subito partí per la Spagna a fare il bagnino. Sempre meglio che fare il bidello a Valenza, eh!
Da quando sono iscritto all’AIRE, come cittadino italiano godo degli stessi diritti del mio neo-connazionale per ius sanguinis, che sono un po’ meno di quelli dei residenti regolari. Per esempio non ho piú accesso al Sistema Sanitario Nazionale, a eccezione delle prestazioni ospedaliere urgenti (d’altra parte non pago le tasse in Italia, e ho accesso al sistema sanitario ceco). Spiega il sito della Farnesina:
L’ultimo link porta a una pagina bianca, quella d’interesse è un’altra che recita:
In pratica: posso votare per corrispondenza alle elezioni europee, alle legislative italiane, ai referendum, e alle amministrative di una regione e di un comune con cui non ho piú niente a che fare. Per carta d’identità e passaporto devo rivolgermi all’Ambasciata a Praga. Per la patente di guida devo rivolgermi agli uffici della motorizzazione della Repubblica Ceca.
La mia patente B italiana era scaduta nel maggio scorso, ma causa pandemia l’Unione Europea ne aveva esteso la validità per altri dieci mesi. Di fatto non avrei potuto rinnovarla, ma soltanto sostituirla con una patente di guida ceca. Come al solito ho trovato chiare istruzioni sul sito del Brno Expat Centre. Sono necessari:
- patente da sostituire;
- (copia del) passaporto;
- certificato di residenza (temporanea o permanente);
- (se il certificato di residenza è temporaneo) prove multiple di residenza continuativa (ovvero piú di sei mesi):
- contratto d’affitto con controfirma nell’ultimo mese (o estratto dal registro del catasto);
- conferma d’impiego subordinato (o estratto dal registro d’impresa, o certificato di disoccupazione) piú recente di due settimane;
- almeno due fra estratto del conto corrente bancario, contratto e bollette di acqua / luce / gas / telefono / internet, ecc.;
- modulo di autocertificazione che la patente da sostituire è valida;
- pagamento di una tassa di 200 corone, o 700 se la domanda è urgente.
È possibile fare domanda per via elettronica o presentandosi allo sportello comunale. A Brno è possibile prenotare un appuntamento via web.
Ho rastrellato pazientemente la foresta di papíry, ho preso un giorno libero, e tre venerdí fa all’ora indicata mi sono presentato allo sportello. Dall’altra parte del vetro ho trovato una santa donna che ha fatto di tutto per accettare le stampe che le porgevo; e per fortuna in borsa oltre agli estratti conto e alle bollette avevo una terza prova di legame col territorio, con una nota in calce che provava che non sono di passaggio. Foto, timbro, firma. Dopo venti giorni sono tornato a ritirarla:
Attendo con impazienza il giorno in cui, tornato in vacanza nel Bel Paese, dovrò mostrarla all’appuntato Gargiulo.
Franz Kafka e il cornoletame ·
A commento dell’incresciosa attività del Parlamento italiano, un brano tratto dai Diari 1910–1923 di Franz Kafka:
S/T ·
Ero a casa da scuola, confinato a letto con l’influenza. Con il telecomando dello stereo scalavo le stazioni che avevo memorizzato, dalle private alle locali. La EMI aveva fatto un gran lavoro di marketing: era in heavy rotation su tutte le radio nazionali, e potevo riuscire ad ascoltarla anche due o tre volte all’ora. Quelli che ne capivano la definivano “beatlesiana”. E poi c’era il videoclip diretto da Sophie Muller:
Beetlebum, una canzone sull’eroina dal testo lascivo ed ermetico, apre il mio disco preferito, quello senza titolo, della mia band preferita.
Ufficialmente Blur è uscito lunedí 10 febbraio 1997, ma sono arci-sicuro di averlo acquistato da Klark Kent – Musik & Passion giovedí 6, fanno venticinque anni oggi. Non ho particolari ricordi associati a esso, non è un disco dal valore personale, ma quelle tracce le ho consumate.
Il secondo singolo estratto dall’album fece il botto:
Song 2 è la parodia del grunge che dà due piste al grunge, è il coretto woo-hoo
universalmente noto, è FIFA: Road to World Cup 98.
Quell’anno mi ritrovai a essere fan di qualcosa di cool e popolare, giusto un po’ in ritardo rispetto al resto del mondo (si era in provincia).
I Blur suonarono Beetlebum e Song 2 al Concerto del Primo Maggio: Damon Albarn fece un discorsetto politico che posso citare a memoria.
Una copia del Guardian del primo maggio la comprai all’edicola della stazione due giorni dopo (si era in provincia, appunto): una monografia di presentazione delle elezioni che il Labour stravinse dopo eighteen years of right-wing government
. In prima pagina dell’inserto G2 c’era un’intervista doppia a due diciottenni nati il giorno del trionfo di Margaret Thatcher: lei, della middle class, destinata a diventare medico; lui, della working class, con la massima prospettiva di possedere un garage.
E in estate sullo schermo all’aperto del cinema Ambra vidi Trainspotting.
La BBC celebra il quarto di secolo del “disco giallo” riproponendo la sessione live nel giardino di John Peel.
Un giorno nella vita di George Falconer ·
So esattamente quando ho “conosciuto” Christopher Isherwood: nel 1995, la domenica prima di santa Rita, avevo accompagnato mia madre dalle suore in centro a prendere le rose benedette. C’era una qualche pesca di beneficenza, mia madre prese a casaccio dei libri usati che non m’interessavano: un Salgari, un Verne, e questo volume rivestito di carta ruvida. In copertina c’era un acquerello raffigurante una prostituta; sul retro il precedente proprietario aveva disegnato a penna il profilo di un volto androgino. Il volume era Addio a Berlino: oggi certi giornali titolerebbero «Scandalo ad Alessandria, le suore fanno propaganda gender!»
Non ho mai aperto né quel Salgari né quel Verne; di Herr Issyvoo ho letto tre romanzi, tre diari di viaggio, un’autobiografia.
La primavera scorsa, nella mia gitarella a Malá Strana, fra i libri impilati sugli scaffali instabili di Shakespeare a synové, ho pescato una copia un po’ maltrattata di A Single Man, che avevo già letto nella traduzione italiana in una copia ancor piú maltrattata. Avevo scritto in Scartari:
Un uomo solo ·
No, non è un coming out.
Questo libro occhieggiava da mesi in triplice copia dallo scaffale del Libraccio: un po’ per il titolo, un po’ per la quarta di copertina (Il suo amico è morto, e non gli restano che il disincanto e la solitudine
), non mi ero mai deciso a comprarlo. Quando ho letto che ne è stato tratto un film diretto dallo stilista Tom Ford (uh?) e interpretato da Colin Firth, ho deciso di anticipare i tempi del marketing, sono tornato in negozio e ne ho trovato un’ultima copia particolarmente pasticciata e vetusta. Vabbè.
Un uomo solo è indicato da piú fonti come il romanzo che ha aperto la stagione dell’emancipazione omosessuale. Non ricordo in effetti un personaggio letterario, da Achille ad Adriano, piú dichiaratamente gay di George, docente inglese di letteratura in un ateneo della California e recente vedovo del compagno Jim.
Le prime quindici pagine di questo breve volume descrivono, con prosa asciutta e precisa, il disfacimento fisico di George e la sua condizione solitaria: la mancanza improvvisa dell’altro ha cambiato la percezione di sé e degli spazi intimi vissuti in coppia. Appena fuori di casa egli avverte l’estraneità a un ambiente – la California del 1962 – all’apparenza accogliente e liberale, in sostanza sottilmente omofobo; quarantasei anni dopo, gli eredi dei personaggi avrebbero votato “Sí” al Referendum 8.
George è spietato con la società: il sogno americano perpetua se stesso in tante identiche famigliole (felici?) e produce allo stesso modo little boxes e università. George è spietato anche con se stesso, triste misantropo ed emigrato inconsciamente nostalgico: in lui c’è tutto Christopher Isherwood. Soprattutto, in lui si manifesta la sessualità cui Isherwood nelle opere precedenti aveva potuto soltanto accennare. Berlin meant boys
, ma anche la California è ben popolata: le annotazioni sui corpi dei giovani che ronzano intorno al protagonista sono crude ed esplicite, e l’incontro con l’allievo Kenny è un tentativo di seduzione sensuale prima che intellettuale (voglio vedere come Nicholas Hoult se la cava nel ruolo dell’adescatore ritroso).
La giornata di George si conclude, prosaicamente, con una sega veloce. In A Single Man non c’è spazio per nessuna sensibilità da stereotipo, per nessuna eccentricità macchiettistica di quelle che rendono gli omosessuali commerciabili al pubblico dei reality show come “froci”. Il suo valore emancipatore è forse tutto in questa non ammiccante schiettezza.
Sono pienamente d’accordo a metà
col me stesso di tredici anni fa.
George, professore di inglese cinquantottenne, ennesimo alter ego di Isherwood, non è un triste misantropo né prova nostalgia per la patria Inghilterra. Si percepisce però come estraneo all’ambiente in cui vive, e come facente parte di una minoranza invisibile. I temi dell’invisibilità (Nobody would have seen us. We’re invisible – didn’t you know?
) e della minoranza ricorrono nel testo. C’è un passaggio in cui George fantastica su una sua personale alleanza con i non-bianchi, che farebbe del romanzo un potenziale proto-manifesto delle teorie intersezionali:
Ma un successivo estratto dalla lezione che George tiene ai suoi studenti probabilmente rende il libro sgradito ai promotori di queste teorie:
Isherwood sa di camminare sulle uova, e sente il dovere di scusarsi: By this time, George no longer knows what he has proved or disproved, whose side, if any, he is arguing on, or indeed just exactly what he is talking about. And yet these sentences have blurted themselves out of his mouth with genuine passion. He has meant every one of them, be they sense or nonsense.
È una excusatio inutile: secondo gli attuali criteri culturali Isherwood si porta male e sarebbe passibile di “cancellazione” per l’uso della parola negro, per un certo sguardo di retaggio coloniale sul sud del mondo, e perché gli piaceva la carne fresca. Sono uova dal guscio fragile.
Tom Ford sintetizza e semplifica la lezione di George cosí:
Il film di Ford è un atto d’amore verso il libro. Un artista fra i piú conosciuti e stimati nel suo campo decide di cimentarsi in un’arte diversa, finanziando l’opera in proprio, lavorando su scrittura e immagini. Il risultato è un adattamento appassionato, imperfetto, molto personale.
Il George Falconer interpretato magistralmente da Colin Firth è, lui sí, triste e prossimo al suicidio. È un uomo molto controllato, privo dello humour nerissimo del soggetto del romanzo, della sua animalità; ed è molto piú stiloso, ovviamente, con minime tracce del dirty old man
delineato nel testo. Il suo mondo è desaturato, in toni di grigio, ma torna ad accendersi con il contatto umano, con la prospettiva di un futuro (anche senza Jim).
Letteratura e cinema sono arti diverse, e nella trasmigrazione dei concetti da una all’altra necessariamente qualcosa va perduto: per esempio il senso purificatorio del “battesimo” nell’oceano, o il significato (mutuato dall’induismo) dell’acqua quale elemento di comunione universale; al cui contrasto, [o]n the dark hillsides you can see lamps in the windows of dry homes, where the dry are going dryly to their dry beds
.
Internet explorer #16 ·
- Charity.wtf › Engineering Management: The Pendulum Or The Ladder, by Charity Majors.
- Benji Weber › Leadership Language Lessons from Star Trek.
- Quillette › Remembering Berlin’s Post-Communist Art Colony—Before It Became ‘Kitsch for the Rich’, by Ulrich Gutmair.
- Doppiozero › Le peripezie di Radetzky, di Cesare Galla.
- Interconnected › Superheroes create cultural acceptance for popular oligarchy, by Matt Webb.
- Brno Daily › Expat Entrepreneurs: Sesamo Brings A Sicilian Artisanal Touch To Brno’s Gastro Scene, by Melis Karabulut.
- Web3 is going just great, by Molly White.
… E tre ·
La Befana mi ha portato in dono il booster.
Subito dopo Natale il nuovo governo del concittadino Petr Fiala ha aperto anche agli ultra-trentenni la registrazione per la dose di richiamo. Io mi ero pre-registrato qualche tempo prima ed ero soltanto in attesa del codice per prenotarmi, ma il codice non arrivava. Cosí ho cancellato la pre-registrazione e mi sono ri-registrato, ma ancora il codice non arrivava. Il portale delle vaccinazioni indicava che l’identità era in corso di verifica: ohibò, era la stessa identità delle due vaccinazioni precedenti. Ho tentato una terza volta, ancora niente codice.
Il vakcinační centrum Bohéma, aperto da una fondazione benefica e co-gestito dal comune di Brno e dalla Caritas diocesana, accetta pazienti senza prenotazione, sette giorni su sette, nel fu-ristorante all’interno del Teatro Janáček, e ha un’ampia disponibilità di Pfizer e Moderna.
Il processo è molto meno rigoroso di sei mesi fa. All’ingresso una ragazzina consegna un numero progressivo ai pazienti, stipati in uno spazio assai piú ridotto di quanto le norme igieniche suggeriscano. Alcuni impiegati li identificano e inseriscono i loro dati nel registro elettronico. Medici o infermieri ne discutono in fretta l’anamnesi. A uno a uno sono inoculati, e spediti in una sala d’attesa per un tempo indefinito. Nessun tesserino cartaceo viene consegnato, ma è possibile farsi stampare da un ultimo volontario il certificato di vaccinazione aggiornato.
Ho parlato con gli addetti in ceco e in inglese. Il medico o infermiere, giovanissimo, mi ha lasciato la scelta del vaccino (?) e mi ha consigliato di variarlo rispetto alle prime dosi, «secondo i nuovi studi». Ora la mia antenna 5G è impostata sulla frequenza del Moderna.
In sala d’attesa ho controllato ossessivamente i messaggi e la posta elettronica; e ancora sull’autobus verso casa; e ancora dopo cena; e ancora il giorno dopo, in permesso dal lavoro, con la febbriciattola e il mal di testa; e il giorno dopo ancora, senza piú dolori ma con la spossatezza del convalescente. Nessun certificato ricevuto, nessun aggiornamento sull’applicazione Tečka.
Domenica mattina ho telefonato al 1221. Due gentili operatrici mi hanno rimbalzato, in inglese e in ceco, a una terza gentilissima operatrice che ha risolto il problema. Nel registro elettronico dei vaccinati ero iscritto sia con il rodné číslo (codice fiscale), sia con il číslo pojištěnce (numero dell’assicurazione sanitaria); per i Cechi i čísla coincidono, non per gli stranieri.
Nel frattempo in Italia andava peggio a un altro mio concittadino.